ALIMENTAZIONE SPORT
DIMAGRIMENTO
  a cura di Orazio Paternò
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TERMOREGOLAZIONE e RIGENERAZIONE NELLO SPORT

DALL’APPLICAZIONE DEL FREDDO AD ALTRI METODI

per

MIGLIORARE LA PERFORMANCE E IL RECUPERO


Nel vasto panorama dell’allenamento, dalle tecniche, all’applicazione dei carichi secondo l’ortodossa ciclicità carico-scarico, ai metodi di stretching finanche alle strategie alimentari talora condite da alcune leggende dure a morire, manca un capitolo ancora poco esplorato, ma che apre uno scenario interessante sull’applicazione di una serie di misure che servono alla rapida rigenerazione dopo un carico o al ristabilimento della capacità di prestazione. Avere a disposizione mezzi per poter preparasi al meglio alla prestazione, recuperare più velocemente nelle pause all’interno di uno stesso allenamento o durante le pause dei giochi sportivi, se non tra gli allenamenti può essere cruciale per migliorare la performance e ridurre lo stato di affaticamento di un atleta d’elite, come di un amatore che si allena duramente.

 

Come si manifesta lo stato di affaticamento?

 

  

L’organismo rielabora i carichi di allenamento, sia in senso strutturale che biochimico, nell’arco di settimane anche se l’adattamento inizia già dopo pochi secondi dall’applicazione del carico (diminuisce l’ATP, aumenta il calcio nel citosol, aumenta il trasporto di elettroni e il consumo di ossigeno…). Allenamento significa affaticamento. Come valutare questo stato di affaticamento? E come contenerlo?

 

Due sono i fronti che fanno da spia allo stato di affaticamento:

  
1.    Un fronte di natura strutturale…

   

  

…che fa capo ai famigerati DOMS (Delayed Onset Muscle Soreness), quei fastidiosi dolori muscolo-connettivali segno di una perturbazione omeostatica delle cellule e di uno stato infiammatorio di ampia portata. Un vero e proprio danno strutturale all’architettura muscolo-connettivale la cui gravità dipende dalla durata dell’esercizio, dalle sue caratteristiche e dallo stato di allenamento del soggetto. Vi sarà capitato di riprendere gli allenamenti con i pesi, ad esempio, dopo un lungo digiuno sportivo: difficile infilarsi con disinvoltura anche solo una maglietta nei giorni successivi. Stessa critica sensazione di “rigidità dolorosa” se avete svolto un pesante lavoro aerobico/anaerobico a carico degli arti inferiori. I DOMS sono influenzati anche dalle modalità di contrazione, dove l’esercizio eccentrico (contrazione del muscolo mentre si allunga) fa la parte del leone nel generare queste microlesioni muscolari. Tipico esempio di dolore muscolare da esercizio eccentrico è quello provato dopo una lunga camminata/corsa  in discesa. O da un lavoro con i pesi in cui si enfatizza il movimento di “frenata” dell’attrezzo richiamato bruscamente dalla forza di gravità. Queste lesioni a carico dei sarcomeri fanno da viatico ad una serie di reazioni infiammatorie indispensabili al processo di riparazione che organizza nuove fibre a partire dalle cellule satellite.

Cosa succede? La rottura delle strutture delle membrane crea una “invasione” di calcio all’interno delle cellule. Niente calcio a disposizione nei luoghi opportuni (microtubuli), compromissione della contrazione muscolare. E un significativo accumulo di calcio all’interno dei mitocondri. Compromessa anche la funzione mitocondriale, significa vedere compromessa anche la risintesi di ATP. Niente ATP e vanno in tilt le pompe ioniche ATP-dipendenti del reticolo sarcoplasmatico limitando la fuoriuscita di sodio e inducendo un edema delle fibre lesionate (ricordiamo che il sodio trattiene acqua). Non dimentichiamo l’aumento di calcio intracellulare che, a sua volta, attiva un sistema proteolitico come la fosfolipasi A o la calpaina. Quest’ultima pare sia la prima responsabile delle lesioni legate all’esercizio fisico. La comparsa delle lesioni iniziali danno luogo alla fase infiammatoria locale, indispensabile però, per innescare il processo di riparazione. Attori della reazione infiammatoria sono i radicali liberi che, come abbiamo visto nell’articolo a loro dedicati, svolgono anche delle funzioni positive e non sono da stigmatizzare sempre e comunque. In questo caso sono l’innesco indispensabile per la reazione infiammatoria/ripartiva.

 

Edema infiammatorio ed equilibrio acido-base: una riflessione

 

 

     
Va da sé che lo stato edematoso, frutto di una serie di eventi a cascata che prendono  l’abbrivio dall’aumento di concentrazione di calcio intracellulare, è uno step fisiologico per  approdare alla fase di riparazione. Ma potrebbe diventare un ostacolo patologico se gravato dal  mancato controllo di alcuni fattori responsabili di un inutile peggioramento dello stato di acidità tissutale. Vedi un’alimentazione troppo acida senza l’assunzione di cibi tampone (frutta e verdura). L’aggiunta superflua di altra acidità non farebbe altro che aggravare l’edema, dato che ulteriore acqua verrebbe dirottata in loco per “spegnere” l’infiammazione. Oppure l’abitudine a pasti luculliani, forieri di picchi di insulina e di infiammazione. Situazioni da scongiurare soprattutto la sera, cioè alle porte dei processi riparativi in atto durante il sonno e inibiti dall’accanimento insulinico e infiammatorio. In queste condizioni il recupero partirebbe già col piede sbagliato

 

Lesioni muscolari e sistema immunitario

 

 

 
L’allenamento intenso associato a lesioni muscolari provoca certamente l’attivazione di una rete di citochine, come l’interleuchina-1, l’interleuchina-6 e il TNF-α (fattore di necrosi tumorale). La loro produzione è seguita da una caduta delle difese immunitarie e questo potrebbe spiegare la frequenza di infezioni dell’albero respiratorio. Ma perché questo legame tra lesioni muscolari e sistema immunitario? Pare che le fibre muscolari lesionate vengano invase da cellule mononucleate, con competenze immunologiche. Questo “dirottamento” di risorse dai sistemi di difesa del sangue a favore del muscolo lesionato esporrebbe l’organismo all’insorgenza di malattie infettive. 

 

2.    Un fronte di natura biologica…

 

  

…che si lega ad un aumento nel plasma dei due principali marker di affaticamento: gli enzimi CK (creatinchinasi) e LDH (lattato-deidrogenasi). I due enzimi normalmente conducono una vita e un’attività eminentemente intracellulare. La loro presenza nel plasma è segno di danno alle membrane cellulari. Il valore del CK come marker di affaticamento ha sollevato dei dubbi. Come quelli che hanno portato Kuipers e Keizer ad affermare che il livello di CK nel plasma non rappresenta un riflesso fedele delle dimensioni e della natura delle lesioni muscolari post-esercizio. Mentre stati di severo sovrallenamento certificati clinicamente non sono stati associati a segni biologici di lesioni muscolari. Tra l’altro il livello di questo enzima può aumentare anche semplicemente in caso di contusioni  muscolari dirette. Di parere diverso Nicola Bisciotti che definisce i livelli post-esercizio di CK e di LHD come “validi markers fisiologici dello stato di fatica dell’atleta” (Strength&Conditioning n.4, Calzetti&Mariucci).

In ogni caso, un marker oggettivo per valutare il processo di recupero potrebbe essere un test sulla prestazione sportiva specifica attuale (test di forza, forza rapida e resistenza). Alla base di uno stato di eccessivo affaticamento può esserci uno stato cronico di stress elevato. Esso produce un’iperattività dei meccanismo ormonali e nervosi che regolano lo stress, come l’asse ipotalamo-ipofisario-surrene e il sistema nervoso vegetativo . A fronte di un carico troppo prolungato le reazioni da stress subiscono una downregulation, cioè si regolano verso il basso per difendere l’organismo da ulteriori carichi troppo elevati. Risultato? Calo della prestazione per riduzione del rilascio degli ormoni dello stress: adrenalina, noradrenalina, cortisolo, corticotropo. Di conseguenza verranno limitati il tasso massimo di degradazione del glicogeno o la massima eccitabilità del sistema cardiocircolatorio e l’atleta farà registrare una diminuzione delle massime concentrazioni di lattato e di frequenze cardiache

 

 
Altri marker di affaticamento: la frequenza cardiaca di riposo

 
Uno degli indicatori dello stato di affaticamento può essere la frequenza cardiaca di riposo, misurata al risveglio, messa a confronto con quella di riposo post-esercizio. Se il ritorno alla frequenza cardiaca di riposo dopo l’esercizio corrisponde a quella basale o mostra un incremento minore di 6 battiti al minuto vuol dire che il recupero ha avuto successo. Un aumento superiore a 6 battiti, ma inferiore a 10 al minuto, ci dice che l’adattamento è buono, ma l’affaticamento è notevole. Un aumento compreso tra gli 11 e i 16 battiti al minuto è sintomo di un grande affaticamento. Sopra i 16 battiti al minuto siamo di fronte ad un affaticamento eccessivo e dovrebbe scattare l’allarme

 
A questo punto entra in gioco la rigenerazione, cioè come “alleggerire” lo stato di affaticamento /sollecitazione indotto dall’allenamento o dalla gara promuovendo un recupero più veloce

 

La rigenerazione deve favorire i processi di recupero sia di natura strutturale/funzionale (sintesi proteica e biogenesi mitocondriale) che biochimica (livelli di CK, LHD, ma anche la risintesi di glicogeno). Oltre che dall’efficacia del metodo di rigenerazione, la performance è migliorata anche da un’adeguata gestione della termoregolazione in condizioni di calore

 

 

  

L’attività fisica intensa (soprattutto di endurance) causa un aumento di temperatura che, in ambienti caldi e umidi, rischia di diventare un fattore limitante. Già dal riscaldamento. Affidarsi solo alla termoregolazione attuata dall’evaporazione del sudore può indurre disidratazione e, con effetto boomerang, ostacolare la prestazione. Ecco che entrano in campo dei metodi che, prima, durante e negli intervalli della prestazione, sono in grado di controllare la temperatura corporea senza indurre dannose perdite di liquidi.

  

QUALI SONO LE PRINCIPALI MISURE DI RIGENERAZIONE E DI CONTROLLO DELLA TEMPERATURA CORPOREA?

L’USO DEL FREDDO…

  

 

Come sottolinea Bisciotti, per rigenerare sarebbe utile insistere su “tutta una serie di metodi il cui scopo sia quello di accelerare il ripristino dell’omeostasi cellulare, basandosi sia su di un miglioramento della circolazione periferica, che su di un’ottimizzazione del ritorno venoso e della clearance dei markers della fatica muscolare”.

Le misure di rigenerazione devono innanzitutto fare capo a prove di efficacia. Nel vasto panorama di proposte poche hanno trovato il suggello della comunità scientifica. Tra queste, l’applicazione del freddo sta riscuotendo un consenso diffuso, pur con qualche sporadica riserva. Tant’è che ha già trovato epigoni in sport di squadra (rugby) di alto livello.

Non mancheremo di parlare, in questo o in altri numeri, anche di altre strategie di recupero: alimentazione, recupero attivo, compressione, massaggi/stretching/elettrostimolazione, strategie farmacologiche, sonno.

 

Perché il freddo?

 

 

 

In condizioni di elevato stress termico frutto della combinazione di temperatura-umidità ambientale elevate e di intensi carichi sportivi diventa vitale alleggerire uno dei sistemi più sollecitati dall’attività sportiva intensa e di durata, il sistema termoregolatore. Elevate temperature corporee sono una pregiudiziale per la performance, anche in fase di riscaldamento. Rompendo così un tabù pluriennale sopravvissuto fino a tempi recenti.

 

Termoregolazione ed evoluzione

 

  
La storia evolutiva dei mammiferi, ma in particolare degli esseri umani, indica che lo stress da calore è una spinta alla selezione decisa e potente. Vi è una buona evidenza che i primi ominidi abbiano dovuto adattarsi ad un ambiente che cambiava, assumendo una postura eretta, bipede. A causa delle distanze maggiori tra le fonti di cibo e la necessità di una prolungata caccia, la locomozione bipede su lunghe distanze richiedeva maggiore capacità aerobica e di conseguenza un aumento della produzione di calore endogeno.  Per bilanciare i carichi di calore è stato essenziale sviluppare un meccanismo di raffreddamento.  Nella fisiologia dell’esercizio, una caratteristica particolare che è stata trascurata dai fisiologi è il modo in cui i mammiferi utilizzano il sistema di termoregolazione per evitare di raggiungere certi limiti termici durante l’attività fisica che potrebbero risultare catastrofici. Posticipare questo meccanismo di difesa con sistemi di raffreddamento aiuta a mantenere alto il rendimento fisico (Med Sport Sc., 2008)

 
  

CRIOTERAPIA-APPLICAZIONE DEL FREDDO: LA DIFFERENZA

 

 

Parrebbero sinonimi, ma esiste una sostanziale differenza legata alla temperatura del mezzo: parliamo di crioterapia se la temperatura è inferiore a 0°, di applicazione del freddo con temperature superiori a 0°. Le applicazioni del freddo hanno riscosso consensi sia in ambito sportivo nella gestione della temperatura corporea esasperata dal carico, sia in ambito terapeutico, dove non solo il ghiaccio, ma anche l’acqua fredda ha dimostrato effetti positivi sul metabolismo, sulle infiammazioni, sulle emorragie, sul dolore e sulle temperature muscolari e intrarticolari. L’applicazione del freddo (acqua fredda o ghiaccio) in ambito terapeutico ha il vantaggio di non dover fare i conti con una possibile riduzione della prestazione muscolare.

 

Mezzi di applicazione del freddo

·      Aria fredda

·      Giubbotti refrigeranti

·      Immersioni in acqua temperata, fredda o a contrasto (calda/fredda)

·      Drink freddi

IMMERSIONE IN ACQUA

 

 

L’uso dell’acqua nel processo di recupero prevede una serie di declinazioni sulle temperature da applicare. Ogni temperatura dell’acqua avrà uno scopo specifico e non tutte le temperature si sono dimostrate efficaci. Va da sé che già la sola immersione in acqua stimola la pompa venosa muscolare e il ritorno venoso con i suoi metaboliti (Bisciotti). Per ogni tipologia esporremo sia modi e tempi di applicazione sia le ricerche a favore/contro. Anche se, attualmente, in ambito scientifico domina la pressoché certezza dell’utilità dell’applicazione dell’acqua fredda. Restano da definire la tempistica e il dosaggio. Troppo poco non serve, troppo può avere effetti opposti. Come vedremo caso per caso…

ACQUA FREDDA

 

A FAVORE-Gli effetti, nella revisione di studi di Bisciotti (4-16° per 15-20 minuti)

·       La vasocostrizione limita la produzione di metaboliti

·       Produce una diminuzione della velocità di conduzione dello stimolo nervoso

·       Diminuzione della frequenza cardiaca

·       Aumento della resistenza periferica

·       Diminuzione dei livelli ematici di CK

·       Diminuzione significativa del lattato plasmatico

·       La vasocostrizione dell’acqua fredda riduce la permeabilità dei vasi nei confronti delle cellule immunitarie, diminuendo l’edema, il processo infiammatorio e il dolore

·       Diminuzione della percezione della fatica grazie alla riduzione della velocità dell’impulso nervoso

·       Aumento della spesa energetica per il mantenimento della temperatura corporea, dunque un aumento della ventilazione, del consumo di ossigeno e del metabolismo

·   Ricerche contrastanti non indicherebbero alcuna diminuzione dello stato di fatica e addirittura una riduzione della performance in un test di sprint effettuato dopo un’attività che abbia condotto all’affaticamento post-esercizio. Altri ancora non registrano un miglioramento della capacità contrattile del muscolo dopo immersione in acqua fredda. Alcuni di questi risultati a sfavore dell’acqua fredda potrebbero trovare la ratio nella diminuzione della trasmissione dell’impulso nervoso prodotta dall’acqua fredda, situazione di ostacolo nella produzione di forza massimale

 

CONTRO-Gli effetti, nella revisione di studi di Faude e Meyer

(acqua ghiacciata, senza specifiche)

  • Diminuzione dello stress muscolare (valutato attraverso la comparsa del dolore muscolare o la concentrazione di CK nel sangue)
  • Diminuzione del rendimento nella forza rapida e nella resistenza dopo carichi intensivi (studi fatti in parte su praticanti non di livello)
  • Minori adattamenti di allenamento (un solo studio e non su atleti di livello)
  • Repressione dei processi infiammatori e dei meccanismi necessari per gli adattamenti (solo in forma di ipotesi)

 

A FAVORE- Gli effetti, nella revisione di studi di Sandra Uckert (14-18°)

La rassegna della ricercatrice presso l’Istituto Superiore per la Salute e lo sport di Berlino mette in luce il contrasto tra elevata temperatura corporea e performance/recupero, spezzando il pluriennale tabù del riscaldamento. La temperatura interna critica del corpo che compromette la prestazione si oppone all’idea del riscaldamento “senza se e senza ma” che ha dettato legge fino adesso. La ricercatrice tedesca afferma che sarebbe più utile cercare di posticipare l’aumento della temperatura sia in fase di riscaldamento, dove la temperatura critica interna del corpo coincide, secondo tradizione, con quella ottimale di riscaldamento, sia durante la performance vera e propria.

Mentre dopo i carichi l’applicazione del freddo favorirebbe i processi di recupero. L’applicazione del freddo che vede non solo l’acqua, ma anche l’aria fredda e i giubbotti refrigeranti, può essere gestita secondo diverse tempistiche, a seconda delle necessità del momento di gara/allenamento e della fattibilità:

  1. PRECOOLING: precedente, contemporanea e successiva al riscaldamento. Queste varianti del precooling possono essere combinate come si vuole e non si escludono tra loro. Il pre-raffreddamento è usato con lo scopo di abbassare la temperatura corporea prima dell’esercizio vero e proprio per prevenire lo stress da caldo e migliorare la prestazione. Può far capo a tutti i metodi di raffreddamento contemplati: drink freddi, immersioni in acqua, camere del freddo, giubbotti refrigeranti. Il precooling si è rivelato molto efficace sulla prestazione (+6,6%, media tra i vari metodi di precooling) se applicato in ambienti caldi e su atleti di endurance. I migliori metodi sono stati, nell’ordine: drink freddi, impacchi freddi, camere del freddo. I più beneficiati sono stati gli atleti più allenati, quelli con un VO2 max >65 ml/kg/min (Sports Medicine, 2012)
  2. SIMULTANCOOLING: durante dei carichi sportivi. Riduce l’aumento della temperatura corporea. In tal caso l’unico mezzo attuabile è il giubbotto refrigerante
  3. INTERCOOLING: tra i carichi sportivi (intervalli e pause di gioco). Ottimale l’uso del giubbotto refrigerante, dato che i tempi dell’immersione in acqua fredda sarebbero troppo a ridosso alla successiva fase di carico
  4. POSTCOOLING: dopo i carichi sportivi (allenamento o gara). In questa fase, negli sport di vertice vengono preferite le applicazioni di aria fredda (2,5 minuti), considerate più confortevoli rispetto a lunghe immersioni in acqua fredda le quali si sono comunque dimostrate molto efficaci. Il postcooling non pone problemi di conseguenze sul carico immediatamente successivo, per cui i tempi di applicazione arrivano a 20-30’ (con acqua a 14-18°). Nel postcooling sono comunque applicabili tutti i metodi di raffreddamento: acqua, aria, giubbotto

 

Acqua fredda nel precooling, intercooling e postcooling

 

 

Nell’uso dell’acqua i sistemi più efficaci si sono rivelati (secondo letteratura) l’acqua fredda o l’acqua con aggiunta di ghiaccio tritato.

Docce fredde? Poco efficaci

Chi ne benefici di più? Soprattutto gli atleti/praticanti sport di resistenza. Meno quelli praticanti sport a dominanza “rapidità” o “forza rapida”. Anzi, usare acqua sotto i 14° ostacola le prestazioni di rapidità.

Il dosaggio (tempi e temperatura) deve essere precisa per evitare di indurre un eccessivo raffreddamento della muscolatura predisponendo ad infortuni e ad un peggioramento della performance. Gli obiettivi da perseguire con l’uso dell’acqua fredda nel precooling (ma anche nel postcooling) sono:

 

a)    alleggerimento della termoregolazione

b)    migliore rifornimento di ossigeno e nutrienti per la muscolatura

c)     migliore capacità di prestazione

 

L’applicazione del freddo è una misura utile anche durante le pause dei giochi sportivi (intervalli tra i tempi, cambio di giocatore, time-out). Questa forma di raffreddamento, detta intercooling, serve per alleggerire il sistema termoregolatore in condizioni climatiche ambientali di elevate temperatura e umidità. Visti i tempi stretti delle pause nei giochi sportivi è sufficiente un’applicazione di acqua fredda di 5 minuti, sempre ad una temperatura tra i 14 e i 18°

 

 

DOSAGGI, CONTROINDICAZIONI E CONFRONTI

 

-       temperatura dell’acqua: 14-18°

-       durata dell’applicazione nel precooling: 10’ e a minimo 20’dalla fase principale del carico.

-       cosa fare dopo l’immersione: aggiungere lievi esercizi di riscaldamento muscolare; realizzare lo sforzo di allenamento e di gara entro 20’

-       durata dell’applicazione nel postcooling: 20-30’

-       durata dell’applicazione nell’intercooling: 5’

-       i confronti con altri metodi: il bagno in acqua fredda si è rivelato più efficace del giubbotto refrigerante per raffreddare di nuovo un atleta ipertermico

-       il giubbotto refrigerante si rivela più adatto nella fase di precooling contemporanea alla preparazione allo sforzo, cioè durante le corse, le pedalate o le remate di riscaldamento

-       tempi e temperature da evitare nel precooling: immergere in acqua fredda anche solo una parte del corpo per oltre 30’ o l’uso di temperature inferiori ai 10° si sono rivelate controproducenti ai fini della performance

-       per non incorrere in un peggioramento della prestazione è necessario che la temperatura muscolare non scenda sotto i 34°

-       raffreddamenti localizzati di una sola parte del corpo (in genere il braccio) determinano un peggioramento a breve termine in esercizi isolati di forza

 

Acqua fredda o recuperi attivi in condizioni climatiche di calore?

Il recupero attivo dopo carichi ha trovato una sua giustificazione nell’accelerazione dei processi di smaltimento del lattato. Ma gli effetti positivi sulla termoregolazione nella ripetizione di un carico in condizioni di calore sarebbero promossi solo da immersioni intermittenti in acqua fredda a 15°. Mentre il recupero attivo, nelle stesse condizioni di calore, produrrebbe addirittura un peggioramento nella seconda fase di carico (tra il 4 e il 18%). Questa è la conclusione dello studio di Vaile et al. (2008) citata nella revisione della Uckert.  Alcuni studi dimostrerebbero anche una maggiore demolizione del lattato come conseguenza dell’applicazione di acqua fredda rispetto al recupero attivo. Sempre nello studio di Vaile, la temperatura corporea viene abbassata solo dall’applicazione del freddo e non dal recupero passivo. La frequenza cardiaca durante le fasi di carico o a distanza di 40’ dal carico viene ridotta in maniera più significativa dall’acqua fredda.

Il miglioramento della prestazione tramite l’immersione in acqua fredda viene attribuito a:

-       riduzione del flusso sanguigno periferico a vantaggio del volume di sangue centrale

-       miglior effetto sulla distribuzione del flusso sanguigno grazie alla pressione idrostatica

 

IMMERSIONE A CONTRASTO: ACQUA CALDA/FREDDA (Bisciotti)

 

 

Questo sistema ha trovato vasti consensi per ciò che riguarda la diminuzione e il controllo della risposta infiammatoria post-esercizio, mentre gli effetti sulla performance sono ancora oggetto di dibattito a causa della grande variabilità dei protocolli, sia in termini di induzione alla fatica, sia per le modalità del metodo di contrasto stesso

 

Tempi

-       da 30 secondi a 2 minuti per un totale di 2-5 immersioni alternate

      Temperature

-    8-10° (acqua fredda); 40-42° (acqua calda)

Effetti

-       stimolazione del ritorno venoso grazie all’alternanza di vasodilatazione-vasocostrizione (meccanismo di “vaso-pumping”)

-       l’aumentato ritorno venoso accelera la bonifica dei metaboliti ed indurrebbe un effetto antiedemigeno che ridurrebbe i tempi di recupero muscolare

-       se l’immersione è totale, aumenta il volume di eiezione sistolico (VES) ed un aumento del pre-carico cardiaco (volume ventricolare alla fine della diastole)

-       alcuni autori riportano anche una riduzione dei livelli di lattato ematico

-       ridurrebbe i DOMS a 72 dall’esercizio, ma non farebbe registrare una diminuzione della concentrazione plasmatica di mioglobina, IL-6 (interleuchina-6, citochina anti e pro-infiammatoria) e LDH (Vaile e cool (2008)

-       Riduzione dei livelli di CK plasmatici

 

IMMERSIONE IN ACQUA TEMPERATA (33-35°, Bisciotti)

Se in letteratura la forbice che comprende la definizione di acqua temperata abbraccia uno spettro piuttosto ampio, tra 16 e 35°, Bisciotti restringe l’intervallo a 33-35° affermando che l’acqua temperata è quella che “deve mantenere costante la temperatura corporea per sessanta minuti”.

Il ricercatore ha trovato in letteratura una serie di riconoscimenti alle proprietà rigenerative dell’acqua temperata, anche se non sono specificati i tempi di applicazione:

 

-       la pressione idrostatica dell’acqua favorisce una “migrazione in senso prossimale di gas, fluidi e sostanze in essi disciolte”

-       questa azione-pompa promuove un recupero più veloce dagli edemi post-esercizio

-       diminuzione del 15% della frequenza cardiaca (mentre l’acqua calda, quella a 37-39°, causa un aumento della FC)

-       il volume di eiezione sistolica aumenta fino al 50%

-       diminuiscono le resistenze periferiche

-       in una immersione fino al collo a 20° si registra una significativa diminuzione dell’attività di renina, cortisolo e aldosterone

-       si citano anche i risultati di studi contro l’acqua temperata: niente diminuzione di CK, LDH e mioglobina; con immersioni in acqua a 34° nessun beneficio sulla prestazione di salto verticale e di sprint

 

 

IMMERSIONE IN ACQUA CALDA (> 38° tra 10 e 20 minuti, Bisciotti)

 
In questo caso la letteratura si dimostra tiepida, se non scettica per una serie di motivi:

 
-       sono riportati casi di tachicardia ectopica (irregolarità del battito)

-       sono riportati casi di ipotensione, sincopi da calore, svenimenti

-       tra i 45° e i 50° si registra una denaturazione delle proteine, un aumento della risposta infiammatoria e dell’edema

-       l’ipertermia provoca un’apoptosi cellulare a causa dell’inibizione delle cellule NFKappa-β4

-       d’altro canto, almeno teoricamente, la vasodilatazione aumenterebbe l’apporto di materiali nutritivi alle cellule. Ma l’elevata temperatura sequestrerebbe sangue ai muscoli dirottandolo verso la superficie, inficiando l’ipotesi sopra citata

-       un’immersione delle sole gambe a 44° per 45 minuti ha ridotto i marker della fatica muscolare (CK, LDH)

-       nonostante l’acqua calda produca un aumento della conduzione nervosa,  ad un miglioramento della capacità propriocettiva e ad una diminuzione dei tempi di reazione, non farebbe registrare nessun miglioramento della capacità contrattile muscolare (test su squat-jump)

 

Raffreddamento prèt-a-porter

 

 

 

A disposizione degli atleti esistono in commercio delle vere e proprie vasche gonfiabili trasportabili ai campi di allenamento o allo stadio.

 

GIUBBOTTI REFRIGERANTI (Sandra Uckert)

  

 

Variante più pratica del raffreddamento, può trovare una facile applicazione durante la fase attiva del riscaldamento al carico principale (precooling), durante il carico (simulancooling), nelle pause (intercooling) e dopo il carico (postcooling). Ha lo svantaggio di raffreddare meno rispetto all’acqua o all’aria fredda.

L’utilità dl giubbotto refrigerante ha trovato credito scientifico nel migliorare la capacità di endurance, soprattutto in condizione di caldo. Un precooling col giubbotto non influenza, invece, le prestazioni di forza rapida (gare di velocità nel ciclismo, in particolare).

Come per gli altri metodi, trova la sua ratio nel compensare gli effetti negativi dell’aumento della temperatura indotti dal carico.

 

Piccolo vademecum del giubbotto refrigerante:

 

-       nel precooling, indossarlo per 30-40’, in caso di temperature elevate, per 20-30’ in caso di  temperatura normale

-       temperatura del giubbotto: 5-15°

-       poco praticabile nel simultancooling, cioè durante la fase principale dell’allenamento o della gara

-       buono anche per la fase precedente il riscaldamento (a riposo, da sdraiato, seduto o in piedi)

-       oltre al precooling, è molto indicato nell’inter e nel postcooling

-       il suo vantaggio nella praticabilità, il suo tallone d’Achille la minore intensità refrigerante e minore superficie corporea influenzata rispetto all’uso di acqua/aria fredda

 

Raffreddamento di piccole parti del corpo? Il caso della nuca…

 
Raffreddare piccole parti del corpo, come la nuca con una sciarpa refrigerante, non serve a niente. Perché?

  1. non diminuisce la temperatura rettale
  2. non diminuisce la frequenza cardiaca
  3. non diminuisce la sensazione di sforzo
  4. non diminuisce la concentrazione di cortisolo, prolattina, adrenalina, noradrenalina, dopamina

 

 

ARIA FREDDA

 

 

L’applicazione di aria fredda in apposite camere è connotata dalla scarsa praticabilità rispetto all’acqua e al giubbotto refrigerante. Gli studi sono pochi e contradditori. Sandra Uckert, nella sua revisione di studi, ci declina  il dosaggio e gli effetti positivi riscontrati su carichi continui e ad intervalli nell’endurance.

Dosaggio:

-       temperatura d’applicazione: -110°C

-       Tempo: 2,5 minuti al massimo

 

Effetti positivi su:

-       temperatura corporea

-       frequenza cardiaca

-       concentrazione di lattato

-       sensazione soggettiva di benessere e sensibilità termica

-       frequenza cardiaca a riposo

 

 

METODI ATTIVI DI RIGENERAZIONE

 

 

Un esempio classico di recupero attivo è la corsa di defaticamento. Serve davvero? Cosa ci dice la letteratura in merito?

Nella revisione dei ricercatori tedeschi Faude (Istituto di Scienze dello sport di Basilea) e Meyer (Istituto di sport e medicina dello sport di Saarland) si mette in evidenza che:

-       rispetto al recupero passivo, la corsa di defaticamento accelera lo smaltimento di lattato dopo carichi di intensità elevata

-       esiste il rischio, però, che essa possa compromettere la risintesi di glicogeno

-       utilizzare il recupero attivo per più giorni dopo una serie di allenamenti pesanti può ridimensionare certi cambiamenti di natura ormonale e immunologica legati all’affaticamento

-       non si sa ancora quanto il recupero attivo sia più importante di un recupero passivo

 

 
ELETTROSTIMOLAZIONE A BASSA FREQUENZA

AL POLPACCIO

 

 

Bisciotti si sofferma anche su una forma di recupero “localizzata”al polpaccio in ragione della sua grande importanza nel promuovere il ritorno venosa: la sua funziona di pompa muscolare aiuta a spingere centralmente l’80% del ritorno venoso totale in una situazione di ottima funzionalità valvolare. Un ruolo talmente cruciale da definire il polpaccio “cuore periferico di Starling”. Situazioni sportive estremamente impegnative, sia sotto il profilo della forza (pesi), della forza rapida (sprint) che della resistenza (ciclismo, endurance in generale…) possono mettere a disagio l’efficienza di questa pompa, anche solo in via transitoria, producendo una blanda ischemia periferica associata a occlusione vascolare e breve iperpressione venosa. L’elettrostimolazione a bassa frequenza potrebbe riprodurre un meccanismo di “vaso pumping” simile a quello creato dall’immersione in acqua fredda con il risultato di favorire lo smaltimento dei metaboliti e un più rapido ritorno ai valori di forza massimale volontaria dopo un affaticamento post-esercizio. Il ricercatore specifica che gli effetti descritti sono ancora oggetto di dibattito, mancando “ancora concrete evidenze in tal senso”

Queste le modalità:

-       uso di elettrostimolazione a bassa frequenza

-       applicare gli elettrodi al polpaccio

-       uso di corrente rettangolare, bifasica e simmetrica

-       frequenza degli impulsi tra 0,6 e 0,8 Hz

-       tempo di applicazione: 20 minuti (1500-1600 contrazioni)

FARMACI ANTINFIAMMATORI NON STEROIDEI (FANS)

 

Acido acetilsalicilico/Aspirina, paracetamolo, Ibuprofene, Diflofenac sono antidolorifici, ma anche antinfiammatori. La letteratura ci restituisce dei dati eterogenei circa gli effetti sulla prestazione sportiva. Documentati sono gli effetti collaterali. L’uso cronico di Ibuprofene ha addirittura dimostrato di aumentare gli infarti. A stretto giro di ruota il Dicoflenac (British Medical Journal, 2011).

 

 

CONCLUSIONI

 

Nell’ambito delle strategie di rigenerazione, quella che ha trovato maggiore consenso nella comunità scientifica è l’applicazione di immersioni in acqua fredda attorno ai 15°C, con lo scopo di:

 

-       stimolare l’attività delle cellule muscolari sane

-       aiutare a riparare il danno muscolare

-       posticipare e ridurre la comparsa dei DOMS

-       ridurre l’edema da sforzo o da contatto

-       avere un effetto analgesico nei confronti delle articolazioni doloranti (sport di contatto)

-       promuovere il ritorno venoso stimolando un effetto “vaso-pumping”

 

Gli sport che più beneficiano dell’immersione in acqua fredda sono soprattutto quelli a carattere aerobico, meno quelli di velocità.

Le immersioni a contrasto (acqua calda/fredda) hanno dimostrato un vasto interesse nel controllo della risposta infiammatoria post-esercizio e nello stimolare l’effetto “vaso-pumping”.

Acque temperate hanno dimostrato alcuni benefici sul sistema cardiovascolare (FC e VES). Le immersioni in acqua calda hanno dimostrato più effetti collaterali che benefici.

Di buona utilità anche i giubbotti refrigeranti e l’aria fredda. I giubbotti refrigeranti non hanno lo stesso effetto dei bagni in acqua fredda, ma trovano applicabilità anche prima, durante e dopo il riscaldamento e durante l’applicazione del carico di allenamento.

In seconda battuta le forme di recupero attivo (ad esempio, corsa defaticante) di volume e intensità scarsi hanno dimostrato efficacia nel velocizzare il recupero, pur con qualche riserva.

Il recupero passivo tramite l’elettrostimolazione a bassa frequenza ha ancora poche evidenze certe.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA e SITOGRAFIA

 

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SdS n 94, Calzetti & Mariucci

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