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I
PREDITTORI
DI MORTALITA’ L’OBESITA’
ACCORCIA LA VITA QUALE
TIPO DI OBESITA’ E’ PIU’ A RISCHIO? COME
STIMARE IL PROPRIO LIVELLO DI RISCHIO? INTRODUZIONE Non
è una novità. Grasso e
riduzione delle aspettative di vita è una correlazione nota
già dagli anni ’50
del secolo scorso, quando la Metropolitan
Life, compagnia
statunitense di assicurazione sulla vita, modulava il premio
assicurativo
secondo una scala crescente in rapporto all’aumento del peso.
A distanza di
decenni, nessuna smentita tra obesità e precoce puzza
d’avello. Anzi, nel 2002 l'Organizzazione
Mondiale della Sanità
riproponeva il sovrappeso come la quinta delle dieci
principali cause di morte, relazionandolo nei Paesi occidentali a una
perdita
di 7,4 anni di vita. IL
BMI (Body Mass Index) La correlazione tra obesità e aumento della mortalità è da anni predetta con una semplice formula alla portata di tutti: il Body Mass Index (BMI) o indice di massa corporeo. E’ sufficiente dividere il proprio peso per l’altezza al quadrato in metri. Ne risulterà un numero che sarà specchio delle nostre aspettative di vita, statisticamente parlando. Per essere più precisi, il BMI è un indicatore prognostico dello stato di salute di un individuo adulto tra i 18 e i 60 anni. Quanto più sarà vicino o, addirittura, oltre il valore di 40, tanto più elevate saranno le possibilità di morire precocemente per tutte le cause (infarto, tumore…). Ma anche un BMI troppo basso si associa a ridotte aspettative di vita, soprattutto per malattie legate all’apparato respiratorio o digerente. Facciamo un esempio: se peso 70 kg e sono alto 1,80 mt avrò un BMI di 21,6 (70/1,80x1,80). Un risultato compreso tra 19 e 24,9 indica che sono normopeso, tra 25 e 30 sovrappeso, tra 30 e 35 obeso di grado I, tra 35 e 40 obeso di grado II e sopra il valore di 40 sarei classificato come obeso di grado III.
I BAMBINI I bambini e i ragazzi presentano una grande variabilità nella composizione corporea durante la crescita e tra maschi e femmine. Partono grassocci e si snelliscono con l’età: nel neonato la massa di grasso diminuisce vistosamente dopo il primo anno di vita. Dopo i 6 anni si ingrassa di nuovo. Le cellule adipose diventano più grosse e iniziano a moltiplicarsi. Trasformazione particolarmente evidente nelle ragazze durante la pubertà, le quali potranno avere una massa grassa consistente. Per questo sono state create delle tabelle ad hoc per calcolare il BMI in età evolutiva
BMI PER SESSO
ED ETA’ GLI ADULTI
QUANDO LA
MAGREZZA E’ PATOLOGICA BMI
e SOTTOPESO
The Lancet nel 2009 ha pubblicato il resoconto di un’analisi collaborativa di 57 studi che hanno coinvolto quasi 900.000 persone. L’obiettivo era di correlare il BMI sia con tutte le cause di mortalità sia con le cause di mortalità specifica. La mortalità è risultata più bassa, tra uomini e donne, nei valori di BMI compresi tra 22,5 e 25 kg/mt2. I guai iniziano col sovrappeso: già per 5 kg/mt2 sopra questa media si registra un aumento del 30% di tutte le cause di morte, del 40% delle morti per problemi cardiaci, del 60-120% delle morti per problemi di diabete, ai reni e al fegato, del 10% delle morti per tumore e del 20% delle morti per problemi respiratori e per tutte le altre cause. Sotto
il valore-soglia di 22,5 il
BMI è stato associato (associazione
inversa) ad un aumento della mortalità legata a malattie
respiratorie e cancro
al polmone, correlazione molto più significativa tra i
fumatori che tra i non
fumatori. Dunque, secondo The
Lancet, anche se il girovita
o il rapporto vita-fianchi potrebbero
fornire informazioni supplementari, il BMI
si è rivelato di per sé un forte predittore di
mortalità generale, sia sopra
che sotto il range ottimale di 22,5-25. L'indice
di mortalità progressivo sopra di questo intervallo
è dovuto principalmente
alla malattia vascolare e probabilmente è in gran parte
causale. A
30-35 kg/mt2,
la
sopravvivenza media diminuisce di 2-4 anni, a 40-45 kg/mt2,
viene ridotta
di 8-10 anni. L'aumento
di mortalità riscontrato anche sotto il valore di 22,5
kg/mt2
è dovuto
principalmente alle malattie correlate al fumo, ma non è
completamente
spiegato.
BMI
e SPORT Se
sei uno sportivo piuttosto muscoloso e magro, il BMI non fa per te: il
grosso
peso dei muscoli ti collocherebbe nel “girone”
degli obesi, dato che la formula
fa riferimento al peso come valore assoluto, senza tenere in
considerazione la
composizione corporea.
BMI
e ICTUS
Nel 2010, Stroke ha pubblicato una meta-analisi di studi di coorte che includeva più di 2 milioni di partecipanti e quasi 31.000 ictus registrati. Obiettivo: trovare correlazioni tra BMI e ictus. Conclusione: “Sovrappeso e obesità sono associati ad un incremento progressivo di rischio ictus ischemico, indipendentemente da età, stile di vita e altri fattori di rischio cardiovascolare.” Mentre dopo un ictus, le possibilità di morte per tutte le cause o per cause cardiovascolari sono significative solo per i giovani con un elevato BMI, mentre diminuiscono per gli anziani, pur sovrappeso o obesi (Stroke, 2009).
Nel 2013 la prestigiosa rivista JAMA ha pubblicato una metanalisi di studi che si è occupata di correlare lo stato di forma ponderale con la mortalità per qualsiasi causa, selezionando 141 studi (i migliori) tra i 7034 setacciati. I risultati hanno confermato la fatale correlazione, pur con qualche attenuazione rispetto al passato. L’obesità di grado II e III è associata ad un aumento significativo di tutte le cause di morte, mentre quella di grado I (BMI 30-35) non ha mostrato una correlazione con un livello di mortalità più elevato. Buona notizia per chi ha solo qualche chilo in più, ma in generale. Perché se quei chili in più si localizzano sulla pancia, all’altezza dei visceri, la festa è finita. Come vedremo più avanti.
LA
CIRCONFERENZA DELLA
VITA E IL RAPPORTO VITA-FIANCHI Il BMI ci dà una stima di un sovrappeso aspecifico, generale e il relativo indice di rischio. Se si vuole avere una valutazione prospettica ancora più accurata del nostro indice di rischio cardiovascolare bisogna considerare la localizzazione del grasso (centrale/periferica/sottocutanea/viscerale). Dobbiamo perciò sapere se siamo più grassi semplicemente sotto-pelle, magari marcatamente nella zona gluteo-femorale (grasso tipicamente femminile) o all’altezza dei visceri nella zona sterno-addominale. L’esigenza di collocare distrettualmente il grasso fa la differenza nelle aspettative di vita di una persona. Se il grasso tipicamente femminile, quello gluteo-femorale, rappresenta un fattore di poca importanza nell’insorgenza di malattie cardiovascolari (ipertensione, diabete, ipetrigliceridemia, resistenza insulinica…), così come lo è il grasso sottocutaneo, diventa un serio problema accumulare grasso nella zona addominale, in particolare profondamente, dietro la parete addominale, all’altezza dei visceri (tipicamente maschile).
L’obesità addominale da sola aumenta di oltre il doppio il rischio di infarto nella popolazione in esame rispetto a quella di controllo. Inoltre, sempre la sola obesità pare responsabile di quasi un infarto su cinque in entrambi i sessi. GRASSO TIPICO DELL’UOMO E
DELLA DONNA LE
DIFFERENZE NELLE PROSPETTIVE DI VITA Le donne caratterizzate da obesità periferica (“pere”) col grasso distribuito per via sottocutanea in aree gluteo-femorale e parte inferiore dell’addome sono a basso rischio di complicazioni metaboliche. Al
contrario, gli uomini
con obesità sterno-addominale (“mele”)
accumulano grasso sottocutaneo e viscerale
e sono più inclini a problemi
metabolici
e cardiovascolari, in particolare quando i depositi di grasso viscerale
sono
abbondanti. Se dal punto di vista salutistico il destino del grasso viscerale è fatale per l’uomo, quanto al dimagrimento la situazione si ribalta: il grasso gluteo-femorale femminile è molto resistente agli ormoni “brucia grasso” (adrenalina, noradrenalina…) e ben difeso da ormoni ed enzimi accumula-grasso (estrogeni, lioprotein-lipasi) PERCHÉ IL
GRASSO VISCERALE È PERICOLOSO
PER LA SALUTE? a) perché favorisce la produzione di sostanze infiammatorie come: • Tumor Necrosis Factor (TNFα) alfa, associato a sua volta ad un incremento della proteina C-reattiva. Quest’ultima è un marcatore infiammatorio legato ad un aumento di infarto . Inoltre il TNF promuove la resistenza all’insulina dell’adipocita · Citochine e TNFα prodotte dal tessuto adiposo viscerale (VAT=Visceral Adipose Tissue) attivano componenti della via infiammatoria come il Fattore Nucleare K-B (NFkappaB) • Un inibitore dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1). Quest’ultima adipochina proinfiammatoria riduce la possibilità che si sciolgano coaguli nei vasi e quindi aumenta la formazione di trombi. Il PAI-1 sale con l’obesità. · Resistina, adipochina che promuove la resistenza all’insulina da parte dei tessuti periferici. Aumenta in proporzione al grado di obesità. b) perché promuove una diminuzione di adiponectina, sostanza antiinfiammatoria che migliora la resistenza all’insulina e diminuisce l’aterosclerosi arteriosa, il che significa migliorare l’infiammazione vascolare (Int J Obes (Lond). 2008 Dec.). La sua diminuzione è inoltre correlata ad un aumento del catabolismo dell’apolipoproteina 1 (Apo 1), quella legata alla formazione dell’HdL (Arterioscler Thromb Vasc Biol 2006) c) aumenta il numero di macrofagi (globuli bianchi), importanti baluardi di certe infezioni, ma che come effetto collaterale hanno quello di richiamare altre sostanze pro-infiammatorie come il Tumor Necrosis Factor α (TNFα). Oltre a promuovere citochine pro-infiammatorie, i macrofagi darebbero anche il via all’insulino-resistenza (Arterioscler Thromb Vasc Biol 2008; 28; 1304-10). d) favorisce l’aumento di acidi grassi liberi aumento di trigliceridi, di LdL e iperglicemia e) i muscoli privilegiano questi acidi grassi liberi come fonte d’energia, risparmiando il glucosio che così aumenta i suoi valori nel sangue iperglicemia e iperinsulinemia f) il grasso viscerale aumenta la produzione di cortisolo che, a sua volta, aumenta la produzione di adrenalina, ormone vasocostrittore ipertensione ) si agisce sul sistema renina-angiotensina ipertensione IL GRASSO
DI TIPO “ANDROIDE”, VISCERALE, E’ QUELLO LEGATO ALLO SVILUPPO DI: 1. IPERTENSIONE 2. DISLIPIDEMIE 3. IPERGLICEMIA SINDROME METABOLICA 4. RESISTENZA INSULINICA 5. DIABETE DI TIPO 2
Insomma,
a differenza del grasso sottocutaneo, il grasso viscerale si comporta
come un
vivace organo endocrino che rilascia ormoni e sostanze a carattere
infiammatorio che conducono allo sviluppo di diabete,
ipertensione e insulino-resistenza. Tradotto: il grasso
viscerale non è un buon viatico per la salute del cuore, a
causa della
promozione di una condizione cronica di infiammazione, anticamera
dell’insulino-resistenza. (J
Am Soc Nephrol., 2004) OBESITA’
GENERALE O OBESITA’ ADDOMINALE? I
sistemi di misura presi in esame sono stati il Body
Mass Index (BMI), il rapporto vita-fianchi, la circonferenza della vita
e il
rapporto vita-altezza. Gli studi selezionati hanno
coinvolto 689.465
persone tra le quali si sono
registrati 48.421 decessi nell’arco di 5-24 anni. Risultato: sia
l’obesità generale che addominale hanno confermato
una significativa correlazione con la mortalità. Essere
obesi in generale così
come esserlo solo a livello addominale, riduce le aspettative di vita.
BMI e
girovita hanno mostrato una correlazione a U o a Jgirovita
e il rapporto vita-fianchi, ci
danno informazioni indipendenti da quelle relative
all’obesità in generale,
come fa il BMI e quindi dovrebbero essere usate nella pratica clinica,
in
associazione al BMI, per valutare i rischi di mortalità
correlati all’obesità. nei
confronti della
mortalità. Cosa significa? Che le aspettative di vita si
riducono ai due
estremi: sia quando si è troppo grassi, ma anche quando si
è troppo magri. Con
un rischio di mortalità sbilanciato verso
l’obesità quando la curva è a J. Le
misure specifiche di obesità addominale, conclude la
metanalisi, quali il girovita
e il rapporto vita-fianchi,
ci danno
informazioni indipendenti da quelle relative
all’obesità in generale, come fa
il BMI e quindi dovrebbero essere usate nella pratica clinica, in
associazione
al BMI, per valutare i rischi di mortalità correlati
all’obesità.
RAPPORTO
VITA-FIANCHI
Come
recitano le conclusione di una review pubblicata nel 2004 su Minerva Endocrinology: “ll
tessuto adiposo secerne non solo gli
acidi grassi non esterificati che contribuiscono alla dislipidemia
aterogenica,
steatosi e lipotossicità. Questo
organo è anche un sistema endocrino attivo e paracrino.
Può secernere fattori
pro-infiammatori, fattori di resistenza pro-insulinica e altre
citochine e
ormoni che possono contribuire a ipertensione e fibrinolisi”
LE
AREE DI RISCHIO, A PRESCINDERE DALL’ESSERE OBESI O MENO (certamente l’obesità moltiplica questo rischio)
LE AREE
DI RISCHIO LIMITROFE UOMO
DONNA
RAPPORTO VITA/FIANCHI Misurazione UOMO
DONNA
LE DUE
CIRCONFERENZE CI OFFRONO LA POSSIBILITÀ DI CLASSIFICARE: a) il tipo di
ingrassamento (se androide o ginoide) b) i rischi per
la salute a) Il tipo
di ingrassamento
b) I rischi per la salute
Nota: In una review pubblicata nel 2008 sulla rivista Arteriosclerosis Thromb. Vascular Biology, Desprès suggerisce che un indicatore ancora più preciso di presenza di obesità viscerale è l’associazione tra un elevato girovita un elevato livello dei trigliceridi a digiuno CIRCONFERENZA
VITA E RAPPORTO VITA-FIANCHI IL PUNTO DELLA
SITUAZIONE
COMBINAZIONE
BMI-GIROVITA/RAPPORTO
VITA-FIANCHI PER UNA VALUTAZIONE PIU’ ACCURATA Abbiamo
visto come il grasso addominale, valutato attraverso la circonferenza
addominale o il rapporto vita-fianchi sia una spia di rischio
più sensibile
rispetto al BMI da solo. Statisticamente, queste misure antropometriche
(circonferenza addominale e rapporto vita-fianchi) permettono di
rilevare la
presenza di tessuto viscerale adiposo con tutta una serie di
problematiche
connesse (insulino resistenza,
dislipidemia e ipertensione). La combinazione del BMI con il
dato della
circonferenza vita rappresenta un valore aggiunto perché
possiamo verificare un
aumentato indice di rischio in un soggetto con BMI normopeso, ma con
una misura
del girovita superiore a 102 cm. Oppure il dato del girovita
può essere
un’aggravante all’interno di un quadro
già compromesso da un BMI superiore a
35. Per
qualsiasi valore di BMI,
una
circonferenza addominale superiore di 5 cm rispetto
“all’ideale” aumenta il
rischio del 17% negli uomini e del 13% nelle donne; mentre un
incremento del
rapporto vita-fianchi di 0,1 aumenta il rischio del 34% negli uomini e
del 24%
nelle donne. Enorme
il vantaggio di queste indagini di primo livello basate solo sulla
misurazione
di altezza, peso e circonferenze: di basso costo, facili, rapide e
attendibili.
IL
RAPPORTO VITA-ALTEZZA LA
NEW ENTRY TRA I PREDITTORI DI MORTALITA’ Una
revisione di studi (Nutrition Research
Reviews, 2010) e due
meta-analisi (Journal of Clinical Epidemiology,2008;Obesity Reviews,2012) hanno sancito
la superiorità della circonferenza
vita e del
rapporto vita-altezza
quali predittori di rischio cardiometabolici in uomini e
donne con obesità centrale. Mostrando
un’affidabilità superiore rispetto alla
rilevazione di uno stato di obesità generale, limite del
BMI. Il rapporto
vita-altezza,
l’entrata più recente nell’ambito dei
predittori di mortalità, ha mostrato
una
correlazione ancor più significativa del girovita tra
obesità addominale e
rischio malattia cardiometabolica, con una spiccata tendenza a
correlarsi con
disordini quali: ipertensione, diabete, malattie coronariche,
dislipidemie. La
meta-analisi di Obesity Reviews ha
raccolto i migliori studi relativi a 300.000 persone di differenti
gruppi
etnici e ha chiosato con il monito: “Mantenete
il vostro girovita meno della metà
della vostra altezza”
CURIOSITA’:
LA
LIPOSUZIONE RIDUCE I FATTORI DI RISCHIO? Brutte
notizie per chi crede che la liposuzione conceda di prendere due
piccioni con
una fava: guadagnare in estetica e in salute. Chiara la conclusione
dello
studio pubblicato nel 2012 dalla rivista J
Clin Endocrinol Metab.:
donne sane e normopeso
sottoposte ad un intervento di modesta liposuzione addominale hanno
mostrato,
se non allenate, un aumento del 10% del grasso viscerale a 6 mesi
dall’operazione, concomitante ad un calo del metabolismo
basale. Solo il gruppo
di donne allenate poteva vantare di andare in controtendenza a 6 mesi
dall’operazione. Gastroenterology,
nel 2010, giunge ad una conclusione simile dopo uno
studio effettuato su 22 pazienti obesi sottoposti ad asportazione
chirurgica
del grasso viscerale tramite la rimozione del grande omento da solo o
in
combinazione con un by pass gastrico: a 3 mesi
dall’omentectomia non è stato
registrato alcun miglioramento della sensibilità insulinica
e dei fattori di
rischio cardiovascolare. Nel 2011, la rivista Diabetes, Metabolic Syndrome and
Obesity esibisce un atteggiamento
tiepido nel rapporto tra
liposuzione e riduzione dei fattori di rischio, a causa
dell’esiguo numero di
studi a riguardo. Tuttavia riconosce che i pochi disponibili non hanno
mostrato
alcuna beneficio della liposuzione su uno o più fattori di
rischio
cardiovascolare. Anzi, studi sugli animali avrebbero mostrato una
ricrescita
compensativa di grasso nei siti di stoccaggio non toccati dalla
liposuzione. In
ogni caso i ricercatori auspicano di associare alla liposuzione
l’esercizio
fisico, almeno per attenuare l’ingrassamento compensativo dei
depositi di
grasso intatti ed esercitare un effetto positivo (forse anche sinergico
alla
liposuzione) sulla sensibilità insulinica. Tutto questo in
via teorica, dato
che gli stessi ammettono la mancanza di studi circa i possibili
benefici della
combinazione tra liposuzione e sport. Tornando
indietro al 2006, la prestigiosa rivista International Journal of Obesity
pubblicava uno studio nel quale seguiva i cambiamenti di
sensibilità all’insulina,
degli acidi grassi liberi, del glucosio
e delle adipochine
(IL-6, angiotensina II, leptina, PAI-1, adiponectina e TNF-alpha) in 15
donne
sovrappeso o obese in età premenopausale e sottoposte ad
intervento di
liposuzione addominale. Queste valutazioni sono state effettuate sia ad
un
giorno che ad un mese dall’operazione. Risultato: dopo un mese gli
acidi
grassi liberi sono diminuiti fino al 30%, mentre la
sensibilità all’insulina è
diminuita solo nel gruppo delle obese, ma non nelle donne sovrappeso.
Ad un
mese dall’operazione non c’è stato alcun
mutamento del livello di adipochine.
Lo studio ha dimostrato
effetti contraddittori circa il miglioramento del profilo di rischio ad
un mese
dalla liposuzione addominale. Solo le pazienti obese hanno migliorato
la
sensibilità all’insulina. Nel
2004 il New England
Journal of Medicine ha valutato l’effetto
di grandi
volumi di liposuzione addominali su fattori di rischio cardiovascolare
in donne
con obesità addominale a 3 mesi dall’intervento. Risultato:
la liposuzione non
ha alterato significativamente la sensibilità all'insulina
dei muscolo, fegato,
o tessuto adiposo, non ha alterato significativamente le concentrazioni
plasmatiche di proteina C-reattiva,
interleuchina-6, fattore di necrosi tumorale alfa e adiponectina,
e non ha
influenzato in modo significativo altri fattori di rischio per la
malattia
coronarica (pressione sanguigna,
glicemia, concentrazione di lipidi plasmatici). Togliere
massa grassa di
per sé, grazie ad una operazione, conclude lo studio, non
garantisce i benefici
metabolici della perdita di peso. Anche
la rivista Obesity,
nel 2008, ha portato le prove che una massiccia
liposuzione di grasso sottocutaneo addominale (SAT) non modificava i
fattori di
rischio cardiovascolari in soggetti affetti da obesità
addominale tra le 10 e
le 208 settimane dopo l’intervento. Sono stati considerati, a
tal fine:
insulino resistenza, pressione sanguigna, livelli di trigliceridi, HdL
e LdL. Altrettanto
positivi
si sono dimostrati gli studi pubblicati su riviste legate alla
chirurgia
estetica: Plastic
Reconstruction Surgery e Aestethic Journal of Surgery.
Entrambe le ricerche condotte su pazienti sottoposte ad interventi
massivi di
liposuzione hanno dimostrato una riduzione degli indicatori di rischio
(pressione arteriosa, livelli di insulina a digiuno e livelli di
colesterolo…) SI
PUO’ ATTACCARE
SELETTIVAMENTE IL GRASSO VISCERALE?
Sì,
ma solo grazie all’esercizio fisico aerobico ad alta
intensità. Così ha
concluso la revisione sistematica pubblicata nel 2007 dalla rivista International
Journal of Obesity. Solo
un’attività fisica di almeno 10 Met di
intensità (camminata veloce, corsa leggera…) ha
dimostrato di ridurre il grasso
viscerale in 582 soggetti obesi e sani.
NON
SOLO L’OBESITA’
ACCORCIA LA VITA Non
basta l’obesità a fare da spada di Damocle.
Già i sedentari normopeso si
fregavano le mani al pensiero di essere al riparo da una precoce
dipartita.
Purtroppo non è così. C’è un
altro elemento fortemente predittivo di scomparsa
prematura ed è legato alla propria CAPACITÀ
DI RESISTENZA AEROBICA.
L’inattività
fisica aumenta il
rischio di mortalità per tutte le cause, dove le
malattie cardiovascolari fanno la parte del leone, seguite a
stretto giro di posta da diabete e cancro al colon.
Il 30% almeno delle morti legate a problemi di cuore, diabete e cancro al colon sono riconducibili alla vita sedentaria. Se
alla sedentarietà sommiamo l’obesità le
prospettive peggiorano nettamente (Obesity
Review, 2003). Il nostro organismo è frutto di un
lento processo evolutivo
che ha premiato, in termini di sopravvivenza, chi mostrava una migliore
tolleranza
alla fatica. Prerequisito di vitale importanza in un mondo dove il cibo
si
guadagnava al prezzo di faticose battute di caccia e marce estenuanti
che
tenessero il passo delle migrazioni animali. L’uomo attuale
dei paesi
sviluppati si trova in un mondo rovesciato, dove la fatica fisica
è stata
ridotta ai minimi termini in nome del comfort. E il cibo sempre a
portata di
mano. Purtroppo la
comodità e
l’alienazione del concetto di fatica sono nemici della
salute. Il nostro
organismo richiede impegno fisico per la sua manutenzione. Senza di
esso
iniziano i problemi, anche seri. Anche
la FUNZIONE POLMONARE rappresenta
un
predittore di mortalità a lungo termine nella popolazione
generale.
CONCLUSIONI Se
vogliamo avere
una stima (statistica) della nostra longevità dobbiamo fare
ricorso al BMI,
cioè al rapporto peso/altezza al quadrato. La sua
correlazione con la mortalità
si attenua con l’età: gli over 65 della categoria sovrappeso non corrono rischi maggiori,
stando al solo BMI. Il BMI
si accompagna però a qualche limite: valuta il peso in
generale, non valuta il
grasso localizzato, soprattutto quello di natura viscerale, non fa un
distinguo
tra massa magra e massa grassa, penalizzando gli sportivi muscolosi.
Una
valutazione più accurata dei rischi di mortalità
collegati al sovrappeso viene
da quelle formule che trovano la loro cifra nella misura del girovita
(circonferenza vita, rapporto vita-fianchi, rapporto vita-altezza),
zona di
deposito elettiva per
quel grasso fatale
per la salute (grasso viscerale). In questo ambito, il rapporto
vita-altezza
pare sia il predittore più gettonato nel ruolo di
protagonista. Combinare il
BMI e girovita o il rapporto vita-fianchi ci dà delle
informazioni che il BMI
da solo non è in grado di fornire, smascherando magari un
apparente normopeso da
BMI che in realtà porta un silenzioso quanto pericoloso
sovrappeso localizzato
sul girovita (ma normalizzato dal BMI). L’obesità
viscerale
è da scongiurare perché produce
sostanze in grado di attivare dei processi
infiammatori che causano la formazione delle
placche nelle arterie e predispone a pressione
alta, resistenza insulinica,
alterazioni
dei livelli dei grassi nel sangue o dislipidemie
(aumento di trigliceridi, LDL, diminuzione di HDL). Tra
i predittori
spiccano anche alcune capacità fisiche, come la resistenza aerobica e la capacità
polmonare. Per la serie: non basta essere magri. Bisogna
anche essere in
forma.
BIBLIOGRAFIA
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