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a cura di Orazio
Paternò
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PIZZA & DIGERIBILITÀ MITI
SFARINATI Orazio Paternò
intervista Gabriele Raimondi In questi anni maldestri è diventato ingestibile il traffico di retorica e allarmismi che congestiona le strade del food. Nulla capace di evolversi oltre la scala del già visto con pasta, zucchero, carne, latte, glutine…e che adesso morde la pizza. Non si tratta dei soliti presunti attacchi alla salute, stavolta. I canti funebri che si elevano al cielo riguardano semplicemente la sua digeribilità. Sulla quale si diffondono idee dal sapore cimiteriale, perché morte sul nascere. E spostano il problema dal suo baricentro. Ne parlo con Gabriele Raimondi, Biologo e Responsabile Qualità di industrie molitorie Professor Raimondi, pare
che sulla digeribilità di pizza/pane aleggi un grande equivoco: velocizzare o
rallentare la digeribilità degli amidi di pizza e pane? Per PIZZA e PANE, da una parte
assistiamo alla tendenza delle ultime linee dietetiche a mangiare alimenti che
rallentano la digestione (cereali integrali, fibre, implementazione di
amido-resistente…) per questioni salutistiche (abbassare il carico glicemico e
ridurre la secrezione di insulina). Mentre sul campo – anzi, nel forno – si
cercano prodotti digeribili più velocemente. Vi posso linkare la tesi di un dottorato di ricerca dove vengono elencate queste metodiche a pag 52-53-54:
http://dspace.unitus.it/bitstre…/…/2052/1/fsestili_tesid.pdf
L’altro filone di indagini passa
proprio attraverso l’utilizzo di integrale in quanto le fibre rallentano la
digestione dell'amido o tramite diverse tecniche accennate in questa
interessante review del 2017 (Br J Nutr. 2017; Bread making technology influences postprandial glucose response: a
review of the clinical evidence) Capite che c’è qualcosa che non quadra?
Quindi c’è bisogno di fare distinzione tra la digeribilità delle proteine, dell’amido, dei lipidi e di tutte le macromolecole in vitro (sperimentalmente in laboratorio) rispetto alla digestione di queste direttamente nell’apparato digerente umano. In sostanza, nessuna prova “provata"che aumentando la maturazione dell'impasto il prodotto finale sia più digeribile senza creare i sintomi fastidiosi post-prandiali. Può chiarire meglio
il concetto di digeribilità? perché il nodo della questione sta tutto lì… I test che vengono eseguiti da parte dei ricercatori vengono classificati con la parola in vitro quando l'esperimento viene fatto in laboratorio mettendo assieme i diversi reagenti. Per esempio, se voglio rilevare la velocità di idrolisi delle proteine vado ad eseguire un test in laboratorio in condizioni standard con proteine assieme all'enzima proteasi e vado a misurare ad intervalli di tempo la formazione di aminoacidi. In base alla quantità di queste sostanze capisco la velocità della reazione. Queste sperimentazioni in vitro sulla idrolisi delle macromolecole sono state eseguite e si conoscono i risultati: si sa che l'azione degli enzimi deputati alla idrolisi delle macromolecole è influenzata dalla temperatura, dall'idratazione dell'impasto, dalla quantità dell'enzima, dal pH e dal substrato. Questo grazie proprio a prove eseguite in vitro in determinate condizioni. In queste sperimentazioni si usa la parola "digeribilità" e quando dico che ho fatto l'idrolisi delle proteine in termini scientifici dico che ho fatto "digerire le proteine da una proteasi”. Quindi, se andiamo a cercare prove sulla digeribilità dei prodotti da forno troviamo questi test eseguiti in vitro. Mentre invece la digeribilità che ci interessa è quella dal vivo, cioè vogliamo vedere cosa succede se alcune persone prese a caso le invitiamo ad eseguire un test per valutare la digeribilità di un prodotto da forno fatto “maturare” per poche ore contro un prodotto che invece ha subito una lunga “maturazione”. Purtroppo queste prove dal vivo non sono state fatte e quindi non abbiamo un riscontro scientifico diretto. Dico questo semplicemente perché qualcuno sostiene che esistono le prove scientifiche che aumentando l'idrolisi aumenta la digeribilità. Queste prove in effetti esistono, ma sono fatte in VITRO e NON DAL VIVO. Quello che io sostengo e che ho sempre sostenuto è che nonostante il prodotto (pizza o pane ) venga fatto maturare per tante ore rispetto ad un prodotto fatto maturare per poche ore cambia poco ai fini della risposta dell'apparato digerente umano, per il quale è indifferente digerire amido in parte idrolizzato rispetto ad un amido ancora intatto. L'amido come sapete rappresenta un 70-75% della farina, le proteine rappresentano un 10-15% (glutine). Anche per queste ultime vale lo stesso discorso, il nostro organismo ha mezzi a sufficienza per eseguire il suo compito con enzimi digestivi in abbondanza.
Allora aumentare la
quota di amido resistente (RS)? Non aiuta a digerire meglio il prodotto…? C'è una quota di questo AMIDO RESISTENTE (RS) che non viene
"digerito". Ma questo nulla ha a che fare con la digestione in vivo
dove nello stomaco arriva una sberla di 300- Quindi il discorso della poca o molta digeribilità dell'amido va letteralmente a farsi friggere. Aggiungo a quanto detto che poi la differenza tra un impasto poco o molto "maturato" (per quanto riguarda l'amido) si gioca nell'ambito di quel 7-9%, la quota di amido danneggiato attaccabile dagli enzimi amilolitici (nota: vedi più avanti) Allora, di cosa stiamo parlando?
I problemi riscontrati in post digestione sono riferiti ad altre cause.
Ne elenco alcune: le farciture, la cottura, il sale, delle disbiosi momentanee,
una non corretta masticazione ecc...Ci sono poi pizze di Un impasto ben alveolato già in bocca viene meglio a contatto con l'enzima ptialina prodotto con la saliva. Non dimentichiamoci che comunque sia la pizza è una bomba.
Che significato ha avere maggiore
digeribilità dell'amido con diverse ore di maturazione con la digestione di una
sberla di pizza nella quale i Facciamo una riflessione su tutto il pane che viene consumato tutti i giorni per il quale il processo di lievito-maturazione dura nella stragrande maggioranza dei casi poche ore. Oppure la piadina, che non ha una lievitazione. Eppure non si riscontrano certi problemi digestivi. Dire che lunghe maturazioni non sono in alcun modo più digeribili
rispetto a quelle brevi ha un sapore “eversivo” rispetto all’ opinione corrente.
Ha delle prove solide? Certamente. Per esempio: L'idrolisi degli amidi durante la maturazione è molto lenta e non
trasforma affatto tutto l'amido, ma solo in parte, come riportato anche da “Biotecnologia
dei prodotti lievitati da forno”. Un grammo di lievito consuma circa Ormai è risaputo in letteratura : http://www.pasqualepetrilli.it/.../BiblioCereali/wheat4.pdf http://www.sciencedirect.com/…/article/pii/S092422449701090X http://www.sciencedirect.com/…/article/pii/S0377840106000253 http://www.academicjournals.org/…/article-full…/F11ADFD61432 L’alfa amilasi della
farina non riesce ad idrolizzare l’amido cristallino intero (oppure riesce ma
molto lentamente). L’amido deve essere o danneggiato (rotto) oppure
gelatinizzato (cotto) per essere attaccato da questo enzima. La percentuale di idrolisi dell’amido raggiunta nella farina e
nell'impasto nel nostro studio è di 6.4 e 7. 1%…
Proviamo a entrare nello specifico…? Sopra rammentavo che un grammo di lievito (mediamente)
consuma Infine,
se consideriamo che il lievito si moltiplica durante la prima fase di
lievitazione con un aumento cellulare al max del 50% circa -ma se vogliamo
esagerare nel conteggio ammettiamo che aumenti del doppio - alla fine se
raddoppio avrò 38,4 x 2 = Concludendo, la logica che più dura la lievitazione e più aumenta
la concentrazione di zuccheri nell’impasto non ha “pezze di appoggio”:
l’idrolisi degli amidi è limitata e quantificabile e una buona parte di questi
viene metabolizzata dalle cellule del lievito. Dunque la
digeribilità della pizza in base alla durata della lievitazione è una illusione
collettiva? Esatto. Fa più riferimento a suggestioni che spalancano la porta all'effetto placebo/nocebo: siamo convinti che una cosa si digerisca bene/male? L'autosuggestione lavorerà nella direzione della nostra convinzione La lunga maturazione (24-48) porta sicuramente maggiori gusti e profumi e una migliore texture (consistenza). Quello che contesto è lo sbandierare che si digerisca meglio. Si parla anche di
sensibilità al glutine... A parte la celiachia conclamata e che riguarda solo l'1% della popolazione, la ricerca ora non parla più di NCGS (sensibilità al glutine non celiaca ) ma di sensibilità al grano escludendo quindi anche il glutine Dicono che i grani
“antichi” abbiano meno glutine e siano più digeribili Quella che il glutine sia più abbondante nei grani attuali rispetto alle varietà "antiche" è una delle solite bufale senza riscontri scientifici. In realtà quello che è cambiato durante la selezione negli ultimi decenni è il rapporto tra gliadine e le glutenine: sono leggermente aumentate le glutenine per dare più elasticità all’impasto. Ma che tutta questa trasformazione abbia influito sulla risposta allergenica da parte di soggetti predisposti geneticamente è tutto da dimostrare. Attualmente non c'è nessuna prova in tal senso.
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