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a cura di Orazio
Paternò
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L’OLIO DI PALMA E LE UNTUOSE POLEMICHE Non era ancora esausta l’ultima processione lungo il decumano del terrorismo alimentare, quella che aveva elevato il glutine a nemico pubblico numero uno. La cui lapidazione ideologica non è stata certo una novità: prima tanti altri alimenti hanno dovuto fare i conti con le isterie delle mode alimentari. Siamo stati tutti testimoni increduli (o compiacenti, a seconda) delle oramai obliate crociate contro latte, zucchero, sale, carne… Ecco che oggi l’instancabile incubatrice delle paure nel piatto ha partorito la vittima sacrificale per una nuova catarsi ortoressica. Ultimamente si trasmette in loop la traccia "L'OLIO DI PALMA È UN VELENO!". Così, a reti unificate, si consuma l’ultima, grottesca sceneggiata delle paure nel piatto. Vediamola. IL PROBLEMA DEI GRASSI SATURI L’attacco parte con un piano sequenza fisso sulla quantità di acidi grassi saturi presenti nell’olio di palma. Come se gli acidi grassi saturi fossero un’esclusiva dell’olio di palma. Sulla base di questo insistito fermo-immagine, chi sperava di mettere alla gogna l’olio incriminato è rimasto deluso: il burro, la faccia “pregiata” dei grassi saturi, ha un po’più di grassi saturi dell’olio di palma (48.78% contro 47.10% CRA-NUT ex INRAN). Il burro di cacao, altro primo attore nella compagnia di giro dei grassi saturi, è infagottato dal 60% di acidi grassi saturi.
Ma l’acido laurico? Il miristico? Il palmitico? O lo stearico? Nessuno discrimina un acido grasso saturo da un altro quando si tratta di dettare le linee guida nutrizionali o ci mette in guardia da un abuso cronico di grassi saturi. Saltando a piè pari a una delle conclusioni, possiamo dire che come sempre “è la dose che fa il veleno”, a prescindere dalla fonte del grasso saturo. Tuttavia più avanti vedremo come la più importante ricerca sull’olio di palma ha fatto qualche differenza…
I GRASSI SATURI NON SONO PROPRIETÀ
DELL’OLIO DI PALMA I grassi saturi dell’olio di palma non sono specie aliene, irrintracciabili in altri grassi. L’olio di palma è ricco di acido palmitico, primo accusato di ogni nequizia, che però è un grasso ubiquitario: oltre ad essere il grasso più abbondante nell’olio di palma (50%) è anche il principale grasso saturo che troviamo naturalmente nei grassi animali e vegetali ed è il componente principale dei grassi del latte materno (Read, WW, Am J Clin Nutr 1965). Nell’olio di palma è ben rappresentato anche l’acido grasso saturo miristico, sospettato di nuocere al cuore (ipercolesterolemico, anche se alza sia HdL che LdL - J Lipid Res., 1997; Am J Clin Nutr. 1993; Arterioscler Thromb. 1994). Ma è presente anche in altri alimenti grassi: si trova anche nell’olio di cocco e nei grassi animali. Certo, le percentuali sono diverse. Ma già nel 2011 l’American Journal of Clinical Nutrition scagionava una dieta ricca di acido palmitico, miristico e laurico utilizzando tre tipi di diete: una dieta dove i grassi erano quasi tutti rappresentati dall’olio di palma (dieta ricca di oleina di palma), una dall’olio di cocco (dieta ricca di acido miristico e laurico) e infine una dall’olio di oliva (dieta ricca di acido oleico). In tutti i casi non si registrò alcuna alterazione dei marker infiammatori quali omocisteina, TNF-α, IL-1β, IL-6, IL-8, proteina C-reattiva altamente sensibile. E lo stesso acido stearico, altro acido grasso saturo bene in vista nella composizione dell’olio di palma, ha dimostrato un effetto migliore sul colesterolo LdL rispetto ad altri acidi grassi saturi (Am J Clin Nutr. 2010). Burro e lardo sono gli alimenti più ricchi di acido stearico. Se guardassimo solo alle proprietà di questo acido grasso saremmo autorizzati ad abbuffarci di burro e lardo. Così come se guardassimo solo gli aspetti negativi di altri acidi grassi saturi dovremmo bandire questi stessi alimenti.
Tratto da: http://nut.entecra.it/ OLTRE LA CONTA DEI GRASSI SATURI La percentuale di grassi saturi (responsabili della conservabilità del prodotto, bisogna dirlo) è una base da cui partire per un’analisi ragionata sulla salubrità di un grasso alimentare. E qua l’olio di palma non ha certo sfigurato rispetto al burro, messo sull’altare della salute dai detrattori a prescindere dell’olio tropicale. Non possiamo fermarci qua. È corretto gettare lo sguardo
oltre la conta dei grassi saturi. Entriamo così nel merito di due questioni
analizzate dallo studio pubblicato nel 2014 dall’ European Journal of Clinical
Nutrition:
L’olio di palma raffinato viene frazionato in una parte ad alto punto di fusione (stearina) e una a basso punto di fusione (oleina), quest’ultimo usato come olio da cottura. L’oleina di palma (PO) ha grassi saturi e mono-insaturi uniformemente distribuiti (45%-40%, rispettivamente), esattamente come in alcuni grassi animali come il lardo. Comunque l’oleina di palma (PO) ha un punto di fusione (13-15°) più basso del lardo (33°). Grazie all’interesterificazione (*) si ottiene una versione più stabile di PO con punto di fusione a 33-35°. È l’IPO, cioè l’olio di palma interesterificato adatto all’industria dei cibi. Il dubbio è l’effetto sulla salute dato dal PO senza raffinazione contro l’IPO. A tal fine si è indagato il possibile effetto negativo sul rilascio di insulina postprandiale e sull’omeostasi glicemica. Il rilascio di insulina è stato valutato misurando il livello di un suo marcatore molto attendibile, il peptide-C. RISULTATO: l’uso di IPO non compromette la secrezione insulinica. Inoltre nessuna differenza nella risposta post-prandiale nella secrezione insulinica, glicemica e nella produzione di peptide-C sia con PO che con IPO. Lo studio non supporta l’affermazione per cui l’acido palmitico nella posizione sn-2 abbia effetti diversi sui lipidi plasmatici e sulle lipoproteine rispetto a quello in posizione sn-1 e sn-3. (*) interesterificazione: processo ideato per ridurre i grassi trans che consiste nel riposizionamento degli acidi grassi sul glicerolo I GRASSI POLINSATURI I grassi polinsaturi, ritenuti più salutari dei cugini saturi, hanno il difetto della instabilità alle alte temperature: si degradano facilmente dando luogo a sostanze tossiche (acrilamide, prodotti terminali di lipossidazione avanzata) . Ecco perché l’olio di girasole o di soia sono peggiori dell’olio di palma se utilizzato nei prodotti da forno (ma anche per friggere). Mentre il burro, per lo stesso motivo, si metterebbe in leggero vantaggio sull’olio di palma (meno ricco di polinsaturi) È ITALIANA LA RICERCA PIÙ IMPORTANTE SULL’OLIO DI PALMA L’olio di palma è stato messo sotto il fuoco incrociato delle accuse più atroci per un alimento: tumorale, diabetogeno e nemico del cuore. La più importante ricerca sugli effetti dell’olio di palma sulla nostra salute viene dall’Italia. Più precisamente da Elena Fattore e Roberto Fanelli dell’Istituto Mario Negri che hanno setacciato 51 studi su 1500 volontari tra USA, Europa e Asia. Ne sono scaturite una revisione di studi e una metanalisi (insieme di metodi statistici che permettono di fare la “pesata media” di ogni singolo studio e generare un singolo valore riassuntivo) pubblicate nel 2013 sulla rivista International Journal of Food Sciences and Nutrition e nel 2014 sull’American Journal of Clinical Nutrition Vediamo le conclusioni punto per punto. OLIO DI PALMA E CUORE In letteratura non ci sono studi di impatto tra olio di palma e malattie cardiovascolari per cui ci si è dovuti limitare ai dati sul monitoraggio dei marcatori di rischio (colesterolo totale, HdL, LdL, apolipoproteina A-I e B…). Sono state messe a confronto diete isoenergetiche con le stesse quantità di grassi consumate. Nel momento in cui l’olio di palma sostituiva altri grassi come l’olio di oliva o di girasole si registrava un aumento dei marker positivi e negativi (si alzavano sia l’HdL che l’LdL), ma tutti in misura inferiore al 10%, valore ritenuto poco significativo. I marcatori miglioravano decisamente quando l’olio di palma sostituiva i grassi trans. Che è poi il motivo per cui è stato introdotto sul mercato: sostituire i grassi trans e idrogenati, la cui nocività è stata ampiamente riconosciuta dalla comunità scientifica e dall’OMS (Eur J Clin Nutr. 2009; Annu Rev Nutr. 1995;Can J Physiol Pharmacol. 1997; www.euro.who.int). L’OMS è stata categorica nei confronti del consumo dei grassi trans: la loro introduzione dovrebbe essere inferiore all’1% delle calorie totali giornaliere. I ricercatori della metanalisi ci dicono che comunque l’associazione tra consumo di grassi saturi e incidenza di malattie cardiovascolari non è scontata ed è stata messa in discussione da diversi ricercatori di vaglia (Ascherio, BMJ 1996; Gillman, JAMA 1997; Kushi New Engl J Med 1985; Mozaffarian Am J Clin Nutr, 2004; Siri-Tarino, Am J Clin Nutr, 2010). Anzi, recentemente sono emersi risultati conflittuali quando si cerca dei benefici sostituendo i grassi saturi con i polinsaturi (Mozaffarian, PLoS Med 2010; Ramsden, BMJ 2013; Rizos, JAMA 2013). Infine, sostituire gli altri grassi alimentari con l’olio di palma non ha modificato significativamente il rapporto tra apolipoproteina B/ apolipoproteina A-I (la prima nemica, la seconda amica del cuore) OLIO DI PALMA E ALTRI GRASSI SATURI A
CONFRONTO I ricercatori dell’Istituto Mario Negri entrano nel particolare e ci dicono che i principali acidi grassi saturi alimentari (palmitico, stearico, laurico e miristico) hanno degli effetti diverso sul profilo lipidico:
Non siamo ancora di fronte alla prova che l’acido palmitico sia il nemico per eccellenza OLIO DI PALMA E TUMORE Nelle uccellande
confezionate dal terrorismo alimentare non poteva mancare lo spauracchio del
tumore. Eppure, ci dicono i ricercatori dello studio del M. Negri, non ci sono studi che mettano in relazione
il consumo dell’olio di palma con l’insorgenza del tumore. OLIO DI PALMA E DIABETE In questo caso l’allarme è scattato da uno studio italiano che ha osservato un aumento della morte di cellule beta del pancreas in seguito all’esposizione del palmitato. Le cellule beta sono quelle deputate alla produzione di insulina. Nei media degli slogan emotivi è scattata in automatico l’equazione: olio di palma = diabete. Peccato che lo studio sperimentale fosse stato condotto su cellule in vitro e con un solo componente dell’olio di palma, il palmitato. Quanto di più lontano da una certezza acclarata dopo studi dell’alimento in toto su organismi complessi e, soprattutto, sugli umani. Com’è noto, in vitro tutto è tumorale o anti-tumorale. Nei passaggi successivi resta spesso ben poco delle promesse (o delle minacce) scaturite dagli studi in vitro. In ogni caso gli stessi autori dello studio hanno poi corretto il tiro con un erratum (http://link.springer.com/article/10.1007%2Fs00125-015-3563-2) nel quale dichiaravano che l’olio di palma utilizzato nell’esperimento era idrogenato. Forma assente nell’industria alimentare. E si torna così al vero problema: l’olio di palma ha sostituito i grassi idrogenati (senza bisogno di essere idrogenato a sua volta) proprio per il loro alto tasso di pericolosità. Condurre lo studio con un olio di palma idrogenato significa tornare al punto di partenza. Inoltre uno degli autori dello studio, Francesco Giorgino, ha dichiarato che “la ricerca non ha mai voluto proporsi come la trasposizione di un modello di alimentazione umana”. Tradotto: la ricerca in questione non ha l’ambizione di dirci se l’olio di palma alimentare ci fa male… OLIO DI PALMA, ANCORA UNTUOSE POLEMICHE Tra marzo e aprile 2016 i detrattori dell’olio di palma ci riprovano continuando a martellare il solito spartito succube di polemiche strabiche e di una certa latitanza culturale. Obiettivo: imporre una cappa di terrore sul “famigerato” olio surfando sull’onda dell’opposizione ideologica. A costo di tirare per la giacca l’ultimo documento emanato dall’EFSA circa i possibili rischi di sostanze prodotte nel processo di raffinazione: GE, 3-MCPD e 2-MCPD Il documento EFSA in realtà: 1. ha coinvolto tutti gli oli raffinati (“Esters of 3- and 2-MCPD and glycidol are contaminants of processed vegetable oils”, recita il documento che prosegue specificando “ Esters of 3- and 2-MCPD and glycidyl esters were found at the highest levels in palm oil/fat, but most vegetable oil/fats contain substantial quantities”, cioè ce ne sono di più nell’olio di palma, ma anche gli altri oli raffinati ne contengono quantità considerevoli ) 2. si è occupato di sostanze che hanno espresso un potenziale genotossico nei test su animali. Sottolineo “potenziale” e “test su animali”. Dunque, nonostante le premesse preoccupanti, il documento EFSA si limitava a verificare l’esposizione della popolazione a queste sostanze (derivate dal processo di raffinazione di tutti gli oli raffinati) per poi passare informazioni utili ai gestori del rischio della Commissione europea e degli Stati membri, i quali regolamentano la sicurezza alimentare nell'UE. Il gruppo scientifico ha inoltre espresso una serie di raccomandazioni affinché si conducano ulteriori ricerche per colmare le lacune nei dati e migliorare le conoscenze sulla tossicità di queste sostanze Ma tuttora siamo al nulla di fatto. Il documento conclude auspicando studi più ampi a partire dai topi, stabilire dei metodi analitici standard per l’analisi delle 3-MCPD nelle sue differenti forme, produrre dei dati sufficientemente ampi per la valutazione del rischio… e a oggi non c’è prova che sugli umani queste sostanze abbiano un effetto genotossico. La partita è ancora tutta da giocare e in attesa di una risposta dalla scienza, il peggio scorre… Questa è la posizione del Ministero della Salute italiano: http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2465 Documento EFSA: http://www.efsa.europa.eu/sites/default/files/scientific_output/files/main_documents/3381.pdf
OLIO DI PALMA: UN PRESSING ASFISSIANTE? Tra gli argomenti dai contenuti emotivi si va salmodiando quanto sia diffuso l’olio di palma nei prodotti: biscotti, prodotti da forno, molti snack, focacce, grissini, molte creme spalmabili, piatti pronti…vero, ma si dimentica di chiarire all’inclita e al colto che chi mangia ogni giorno solo 3 o 4 di questi alimenti, magari in porzioni generose, non ha una buona alimentazione: troppo grassa, in generale. Indipendentemente dall’olio di palma, dal burro o dall’olio di girasole contenuti.
OLIO DI PALMA E AMBIENTALISMO EMOTIVO Lo storytelling che tuona livide invettive contro l’olio di palma
cerca di coinvolgere il pubblico in un costante trekking tra mezze verità
scientifiche e ambientalismo emotivo,
quello cioè che scarta i numeri per lasciare spazio ai colpi ad effetto magico,
più che scientifico. E non si spiega, in termini di sostenibilità ambientale,
perché si dovrebbe abbandonare la coltivazione dell’olio di palma quando la
resa di un ettaro ad esso dedicato corrisponderebbe alla resa di DEFORESTAZIONE IN DECRESCITA È vero che la deforestazione, dall’inizio della civilizzazione, ha visto una riduzione del 46% degli alberi (Nature, 2015), ma l’ultimo rapporto FAO (Global Forest Resources Assessment 2015) ci rivela che negli ultimi 25 anni ha dimezzato la sua velocità sia nelle zone temperate (in Italia le foreste sono cresciute del 6% negli ultimi 10 anni) che in molte aree tropicali. Forse l’apocalisse verde non è così vicina. Per finire, è interessante il rapporto esteso da PlosOne nel 2015 relativo alla deforestazione delle aree protette nel periodo 2000-2012: le perdite maggiori si sono registrate nei paesi con regole di protezione consolidate, cioè l’Australia, l’Oceania e il Nord America.
CONCLUSIONE Attualmente un’alternativa all’olio di palma non c’è. Ed è il migliore compromesso tra gli altri oli a coltivazione intensiva (soia, colza, girasole, mais…), il burro e l’olio extravergine di oliva. Sostituire l’olio di palma con il burro e l’olio extravergine di oliva avrebbe costi molto alti per i consumatori e l’ambiente: moltiplicazione infinita di allevamenti per avere più burro, numero esorbitante di ettari di terreni per gli ulivi che, con una resa nettamente inferiore, dovrebbero colmare i vuoti lasciati dall’olio di palma. Sostituire l’olio di palma con l’olio di girasole o di soia?
Una via ancora troppo frequentata nell’odonomastica della furbizia. BIBLIOGRAFIA Int J Food Sci Nutr. 2013 Palm oil and palmitic acid: a review on
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systematic review and meta-analysis of dietary intervention trials. Fattore E, Bosetti C, Brighenti F, Agostoni C, Fattore G. Ann Nutr Metab. 2013 Intake of fatty acids in general populations worldwide does not meet dietary recommendations to prevent coronary heart disease: asystematic review of data from 40 countries.
Harika RK, Eilander A, Alssema M, Osendarp SJ, Zock PL. Am J Clin Nutr. 2011 Diets high in palmitic acid (16:0), lauric and myristic acids (12:0 + 14:0), or oleic acid (18:1) do not alter postprandial or fasting plasmahomocysteine and inflammatory markers in healthy Malaysian
adults.
Voon PT, Ng TK, Lee VK, Nesaretnam K. J Lipid Res. 1997 Effects of medium chain fatty acids (MCFA), myristic acid, and
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