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a cura di Orazio
Paternò
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DI INTEGRATORI E DI COMPLESSITÀ IL CASO OMEGA-3 E
LO ZAMPINO DEL
GENOMA INUIT
Agli
omega-3
si attribuiscono proprietà…
La
bibliografia sugli omega-3
è sterminata e oggi non mi occupo di
fare il punto su tutti i claim
salutistici che riconducono a essi. È però
interessante appuntare l’occhio su
alcuni elementi che destrutturano il principio per cui basta una sola
sostanza
per risolvere ogni problema. Un’abitudine che non ha
risparmiato gli omega-3, investiti
di attese quasi
messianiche. A rischio di guastare la porrata agli ottimisti, dobbiamo
fare i
conti con la complessità della nostra fisiologia che stride
con quella fame di
semplicità dei consumatori puntualmente accarezzata dal
marketing. E
il caso degli Inuit
rende conto della complessità delle cose, quando si entra
nel territorio
sdrucciolo dell’integrazione…
La
scienza, dal canto suo, si è dovuta prendere i suoi tempi
(la
ricerca costa tempo e denaro), ma è giunta, pur in differita
rispetto alla
messa in onda di certi mantra pubblicitari, a conclusioni molto
più prudenti e che
rendono conto della complessità della situazione. Innanzitutto
gli omega-3
da soli non bastano. Devono essere in equilibrio con gli omega-6,
con i quali sono in competizione. E se la pillola può
garantire una formula che rispetti il delicato equilibrio (rapporto 5:1
tra omega 6 e omega
3, INRAN), il resto dei pasti veri e propri può
trasformare
la tavola in una corsa ossessiva alla combinazione e alla pesa di cibi
che
mantengano il rapporto aureo tra i due grassi. Un rito triste oltre i
confini
dell’ortoressia. I
cui effetti
protettivi sul cuore non sono certi (Ann Intern Med. 2014), mentre nei soggetti con diabete di tipo II non esercitano alcun effetto positivo sulla glicemia e insulinemia a digiuno e alzano il colesterolo LdL (Cochrane Database Syst Rev. 2008; Diabetologia. 2007).
È
vero: gli Inuit
della Groenlandia, grandi consumatori di grassi animali e in
particolare di omega-3, registrano
un basso tasso di
mortalità cardiovascolare. Si nutrono sostanzialmente di
pesce e di foche senza
frutta e verdura, irreperibili negli ambienti artici. Una miscela
fatale per le
coronarie di noi Europei. Mentre il cuore degli Inuit
regge con disinvoltura questa bulimia di grassi animali. Anzi,
nei loro vasi il colesterolo cattivo (LdL)
e l’insulina a digiuno sono orientati verso il basso. Tutto
grazie agli omega-3, si presumeva. In
realtà, perché il cuore sia protetto in queste
condizioni
alimentari, è necessario essere degli Inuit
e condividerne il DNA. Al di là degli omega-3.
Solo questa popolazione ha un
cluster di
mutazioni nei geni che
sovrintendono al metabolismo degli acidi grassi
e
che tengono “puliti” i vasi sanguigni. Per
la precisione, il popolo dei ghiacci mostra di possedere una serie di
modificazioni delle desaturasi degli
acidi grassi che determinano i livelli degli acidi
grassi polinsaturi
Gli
Inuit
hanno
cioè
la
cassetta degli attrezzi (pool
genetico) necessaria per modificare il metabolismo dei grassi e
proteggerli da quelle
malattie cardiache che insidiano chi si espone cronicamente
ad elevatissimi livelli di
proteine e grassi animali. Una curiosità: le stesse mutazioni influenzano anche la produzione degli ormoni della crescita, dando conto della bassa statura della popolazione CONCLUSIONI Il
caso degli omega-3
è solo un esempio per capire la complessità di
ciò che invece viene
confezionato in forma semplice: una molecola possiede certe
proprietà, la
trasformo in integratore ed estinguo d’incanto i debiti di
salute. Ammesso che la
molecola X abbia dato dei risultati promettenti (ma non definitivi),
è sempre necessario
ricordare che: 1.
la
salute e la longevità sono figlie di combinazioni
multifattoriali (genetica,
alimentazione, attività fisica, ambiente…) 2.
affidare
la propria salvezza a un solo alimento/molecola è
un comportamento dal sapore para-religioso e
maniacale 3.
la
stessa dieta può avere effetti differenti su persone
diverse, in base al
proprio corredo genetico 4.
plagiare
l’alimentazione di un altro popolo o di un’era
preistorica idealizzata come un
diorama di plastica (il Paleolitico, ma quale? Alto, medio o basso
Paleolitico?
E la dieta di quale latitudine?) è un autogol salutistico,
mancando la cassetta
degli attrezzi evolutiva per gestire certe quantità di
proteine, grassi o
zuccheri. Normali per certi popoli, straordinarie (e dannose) per altri 5.
ammesso
che l’integratore sia efficace, i
suoi benefici potrebbero nascondere l’insidia di effetti
collaterali, se
l’alimentazione copre già a sufficienza i
fabbisogni. Vedi gli effetti
collaterali di dosi generose di vitamine (http://www.nutrizionesport.com/multivitaminici%20e%20antiossidanti.html) 6.
le
correlazioni (in questo caso tra tipo
di dieta e infarti) sono solo un punto di partenza. Ma devono essere
verificate
e bonificate da fattori confondenti. Se ci fermassimo alle correlazioni
tra due
fenomeni che, magari casualmente, mostrano lo stesso andamento nello
stesso
periodo storico, potremmo tranquillamente affermare che il consumo di
formaggio
causa la morte per intrappolamento tra le lenzuola I
grassi omega-3, come detto in
apertura, sono
una parte importante della nostra alimentazione. Ma
c’è tanto altro che
concorre alla salute: un’alimentazione bilanciata nelle 24
ore ed estesa in
modo personalizzato, uno stile di vita attivo una genetica che giochi a
nostro
favore. Celebrare un solo alimento/molecola o latrare contro
l’alimento/molecola killer di turno fa parte di una liturgia
affamata di
consensi e di denari facili. E
accarezzare
le ingenue emotività collettive con delle promesse mendaci
è un rito furbo che
si replica da troppo tempo. BIBLIOGRAFIA
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