LEGGENDE PARASCIENTIFICHE
IL
LATTE SOLO PER I BAMBINI…?
Ancora
oggi, 2013, circolano saccenti santoni della
tuttologia prêt-à-porter
che
pontificano contro il consumo del latte in età
adulta. Gli argomenti? “Il latte
è un
alimento destinato solo
all’infanzia”…” “Il
consumo di latte di un altro animale è
innaturale”…”Il consumo di latte da
adulti è contro la fisiologia…”
Come tutte le correnti di pensiero modaiolo
buoni per cicalecci da salotto, non si fa riferimento ad alcuna
argomentazione
scientifica e corroborata da evidenze cliniche.
Per smentire i suddetti corifei
della superstizione alimentare, basta la prova evolutiva, previo un
breve
contributo dalla biochimica. La lattasi,
enzima che ci permette di digerire lo zucchero del latte (lattosio)
solitamente
si “spegne” dopo lo svezzamento: cessa
così la possibilità di bersi un
cappuccino o un bicchiere di latte senza incorrere in un fastidioso mal
di
pancia, condito da flatulenza e diarrea. Dove sta il trucco? Nella
parola
“solitamente”. Non per tutti e in maniera
disomogenea tra le varie popolazioni
la lattasi opera ancora
efficientemente anche da adulti. Cioè esistono tanti adulti
che si possono bere
un bicchiere di latte, a fronte di altri che non si possono permettere
lo
stesso piacere senza incorrere nei suddetti fastidiosi effetti
collaterali.
Perché queste differenze? Semplicemente per delle ragioni di
sopravvivenza in
cui la parte del leone spetta alla pressione
selettiva attuata dalla disponibilità alimentare
contingente. In breve:
dopo l’introduzione dell’agricoltura (10 mila anni
fa) e della pastorizia come
forma di sussistenza di una vita passata da nomade a stanziale,
l’uomo cominciò
ad introdurre nel suo menù il latte.
L’abitudine partì dalle popolazioni dell’Anatolia,
per arrivare al vicino Oriente e
diffondere
in Europa, soprattutto nel Nord Europa. In mancanza di una
varietà
alimentare che permette, oggi, la sopravvivenza di chi certi alimenti
non li
tollera (intolleranza al glutine,
per
esempio) ecco che entra in gioco la selezione
naturale. In un contesto di popolazioni, in particolare
quelle del Nord Europa,
ma anche di alcune popolazioni africane o indiane, la cui sussistenza
dipendeva
dai prodotti della pastorizia (latte, yogurt e formaggi), i fortunati
bambini
che mantenevano attivo l’enzima lattasi
anche
da adulti potevano sopravvivere più sani, più a
lungo e trasmettere i geni di
questa felice mutazione alle generazioni successive. Solo loro potevano
beneficiare dell’apporto di proteine, grassi e calcio
presenti nel latte. A chi
smetteva di digerire il latte dopo i 5-10 anni
d’età restava ben poco di cui
cibarsi: era l’anello debole destinato ad estinguersi.
E’ bene chiarire che il
latte come alimento base non ha generato la mutazione, ma ha agito come
potente
selettore naturale a favore degli individui che manifestavano questa
mutazione
del tutto casuale, nata probabilmente nella regione degli Urali attorno
a 6000
anni fa. E sono
bastati poche migliaia
di anni per rendere dominanti i soggetti “lattasi
persistenti”. La variabilità
percentuale nell’affermazione della
mutazione dipende dal tipo di sussistenza alimentare delle varie
popolazioni:
dove la pastorizia era fondamentale gli individui “lattasi
resistenti”
arrivano, oggi, a rappresentare anche il 90% della popolazione.
Viceversa dove l’alimentazione
trovava fonti alternative di approvvigionamento. Si passa, dunque, da
punte del
96% di tolleranza al lattosio in Scandinavia a minimi del 2% tra i
Bashi del
Rwanda. L’Italia, patria dell’inciucismo a 360
gradi, si attesta su un diplomatico
50%-50%. La Sardegna registra un modesto 15%.
Alla
luce del fatto che la
tolleranza al latte da adulti è frutto di un processo
evolutivo che ha messo
assieme un’abitudine culturale (il consumo di latte) con una
mutazione genetica
(l’enzima lattasi attivo
anche in età
adulta), che cosa è “innaturale”?
L’evoluzione o il cicaleccio della
superstizione alimentare?
IL
LATTE CONTIENE PUS...?
Tra
gli argomenti bolsi della "controinformazione" complottarda
viene rilanciato l'ormai classico "Il
latte contiene pus". Senza distinguere tra la presenza
fisiologica nel latte crudo di alcune cellule somatiche (vedi globuli bianchi e cellule epiteliali)
e pus vero
e proprio, frutto di un processo infiammatorio. La presenza di globuli
bianchi è DEL TUTTO NORMALE, dato che il latte provvede a
nutrire il piccolo, ma anche a formare il suo embrionale sistema
immunitario. Grazie, appunto, alla trasmissione degli utilissimi
globuli bianchi. E la stessa cosa succede anche nell'uomo. Dove LATTE =
NUTRIMENTO + SCUDO IMMUNITARIO. Solo se queste cellule superano una
certa soglia di tolleranza scatta il campanello d'allarme
sanitario. In tal caso si prendono le contromisure. Il resto sono solo
cascami di affermazioni surrettizie.
IL
LATO OSCURO DEL LATTE
A
onor di cronaca, qualcosa da eccepire sul latte c'è, ma
concerne tutt'altro
rispetto alle critiche generiche portate avanti da certi ambienti. Per
esempio,
IL LATTE EVOCA UNA SIGNIFICATIVA RISPOSTA INSULINICA. Il problema
dell'insulina
evocata dal latte, più che agli zuccheri, è
riconducibile alla presenza di
alcuni aminoacidi insulinogenici (soprattutto l’arginina).
Cercare di bypassare
i picchi di insulina rifacendosi al latte con il lattosio predigerito
(vedi
latte ACCADI’) è
inutile. Accadì o meno, la
risposta insulinica
resta la stessa.
Come
si traduce nella pratica il fatto
che il latte dia una elevata risposta insulinica?
Per
esempio, limitandolo nei soggetti sovrappeso o nei diabetici. Evitando
magari di consigliare il classico bicchiere di
latte
notturno, momento in cui è fondamentale scongiurare picchi
di insulina a causa
di un rapporto di antagonismo col glucagone, ormone
“dimagrante” ad
attività circadiana (secreto soprattutto durante la notte).
L'opposto
di quanto accade al mattino, dove un certo carico insulinico aiuta a
smorzare
il picco di cortisolo e a slegare il testosterone. Per avere una marcia
in più.
LA
TOLLERANZA DA ADULTI, MA SENZA
LATTASI. E’ POSSIBILE?
La
tolleranza recuperata in età adulta per assuefazione
"mitridatica" al
latte assunto in piccole dosi pare legata ad un adattamento della
microflora
intestinale, più che ad una riaccensione del gene "lattasi"
spento senza
appello dopo lo svezzamento. Non tutto è perduto, quindi.
CONCLUSIONI
Un
alimento consumato
universalmente come il latte non poteva sfuggire alle cassandre della
mitologia
alimentare e cospirativa. E’ successo allo zucchero, a
stretto giro di ruota
alla pasta e alla carne. Come i suddetti alimenti, il latte risponde a
delle
precise leggi di dosaggio e tempistica subordinate a delle evidenze
scientifiche e non ad una caccia indiscriminata alle streghe. Anche l’intolleranza al lattosio,
certa e provata, è stata oggetto di
generalizzazioni superficiali. Mentre sotto
la lente della speciazione culturale
e dell’evoluzione
i distinguo sono obbligatori. Così come sarebbe
d’uopo mettere un filtro
all’informazione più sciamanica che scientifica.
Dunque, sì al latte, ma con
intelligenza.
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