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UNA STORIA EVOLUTIVA DI COMPROMESSI, ASIMMETRIE, INUTILITÀ E DOLOROSE IMPERFEZIONI:

ALLA FINE UN SUCCESSO, MA PAGATO A CARO PREZZO

 

Intervista

a

Telmo Pievani

a cura di

Orazio Paternò

 

 

 

Nel suo ultimo libro (Imperfezione, Una storia naturale - Raffaello Cortina Editore, 2019), il filosofo della scienza ed evoluzionista Telmo Pievani, tra i più affermati divulgatori scientifici italiani, legge la storia evolutiva di Homo sapiens sotto il segno dell’imperfezione. E ribalta il vecchio paradigma dell’uomo rappresentato come un unico, glorioso assemblaggio di eleganti perfezioni: siamo piuttosto un prosaico bricolage di malfunzionamenti, inutilità e, appunto, imperfezioni messe insieme alla bell’è meglio ma che, tutto sommato, ci ha permesso di cavarcela (quasi) egregiamente fino a oggi.

Tutto il nostro catalogo di imperfezioni ci fa capire come l’evoluzione non sia governata da un “ingegnere” che ottimizza le proprie “creazioni” in base ai mutamenti ambientali, ma sia un tira e molla tra il materiale a disposizione e l’ambiente che cambia attorno a noi.

Siamo figli di compromessi subottimali, dunque IMPERFETTI,  ma di successo. Che, però, ci hanno “regalato” una serie di moleste smagliature fisiche con cui dobbiamo fare spesso i conti insieme ai nostri fisioterapisti e ai nostri personal trainer…

 

D: Professore, passare da quadrupedi a bipedi ci ha liberato le mani, ha ridotto la superficie del nostro corpo esposta al sole, ha cambiato il nostro orizzonte visivo…tuttavia questo cambio “repentino” ha portato con sé un’architettura anatomica adatta al bipedismo in maniera approssimata con la conseguenza di tutta una serie di disagi fisici. Ci vuole fare degli esempi?

R: In realtà non fu un cambio repentino, ma una complessa transizione durata quasi 4 milioni di anni e avvenuta in molte specie diverse in modi diversi. Non sappiamo quale sia stato l’innesco iniziale del bipedismo, ma fu sicuramente legato agli adattamenti di ominini bipedi che cominciavano a vivere in un ambiente misto, un po’ in foresta e un po’ in spazi aperti. I vantaggi furono la liberazione degli arti superiori, la riduzione della superficie del corpo esposta al sole, una certa flessibilità locomotoria (un bipede può correre, nuotare, arrampicarsi sugli alberi alla bisogna, etc.) e la possibilità di avvistare predatori. Ma noi restammo prede vulnerabili molto a lungo, anche dopo esser diventati bipedi. Il prezzo di questa riorganizzazione anatomica nel genere Homo fu salato: spostammo il baricentro del corpo in verticale sugli arti inferiori, scaricando su gambe e piedi tutto il peso, mantenendo una colonna vertebrale flessuosa da quadrupede ma ora in verticale, curvata, con l’attaccatura di nervi e muscoli rimasta da quadrupede, il coccige come vestigio, insomma un arrangiamento non proprio perfetto. Senza contare gli effetti sul parto umano - imperfetto, pericoloso e doloroso - con il cervello dei cuccioli che cresceva e il canale del parto che non poteva allargarsi più di tanto per non pregiudicare l’andatura. L’evoluzione funziona così, non riparte ogni volta da zero (sarebbe troppo lungo), ma rimaneggia il materiale a disposizione. E’ un continuo compromesso, subottimale, tra funzioni e vincoli strutturali. Fa di necessità virtù e a volte funziona. I fisioterapisti e i personal trainer preparati sanno che non devono forzare né possono ignorare questi limiti fisiologici: l’allenamento secondo me è un modo per esplorare la plasticità (a lungo sottovalutata) del nostro corpo, ma sempre entro vincoli strutturali precisi, per favorire il benessere individuale. Mi stupisce però che il mondo della medicina e delle scienze motorie solo raramente prenda in considerazione la storia evolutiva del corpo umano. C’è un sacco da imparare dalla nostra evoluzione.

 

 D: Il metabolismo ha pagato i rapidi e recenti cambiamenti ambientali nel passaggio dal regime “carestia” al regime “abbondanza”? Oppure ha fatto in tempo a riorganizzarsi?

 

R: Quando l’ambiente attorno a noi cambia troppo velocemente, ci ritroviamo adattativamente in ritardo. Nel nostro caso, poi, i cambiamenti ecologici e comportamentali li abbiamo introdotti noi stessi, alterando gli ecosistemi, cambiando dieta, evolvendoci tecnologicamente e culturalmente. Il risultato può essere uno sfasamento tra la nostra fisiologia e i nostri comportamenti, soprattutto alimentari. Il nostro metabolismo è per certi aspetti ancora adattato a un mondo in cui le fonti di cibo erano sporadiche e imprevedibili, e dunque era sensato per la sopravvivenza immagazzinare il più rapidamente possibile cibi ricchi di zuccheri e grasso, come scorta per i periodi difficili. Il problema è che questa attitudine oggi si scontra con un ambiente in cui - per molte popolazioni umane anche se non per tutte - vi è ampia disponibilità e continuità di cibi traboccanti di zuccheri e grassi, ovunque, spesso junk food. Il nostro metabolismo si sta riorganizzando, ma il processo è lento e intanto ne soffriamo. Per esempio il microbiota - cioè l’ecosistema di batteri, funghi e altri microrganismi che vivono nel nostro intestino, sulla pelle, in bocca – di noi che abitiamo nei paesi industrializzati è molto più povero e sbilanciato di quello di chi vive in aree rurali o di quello dei cacciatori raccoglitori. Stiamo impoverendo l’ambiente attorno a noi e questo si ripercuote negativamente anche sulla nostra salute. Meglio esserne consapevoli e, per esempio, moderare e diversificare la propria dieta subito. Senza forzature, come quelle di chi consiglia di tornare alla dieta paleolitica (un non senso da qualsiasi punto di vista, scientifico ed evoluzionistico, perché non si torna indietro) o a diete con cibi solo crudi. Il segreto di una buona dieta, se vogliamo guardare le evidenze della nostra storia naturale, è la diversità e la ricchezza degli alimenti, senza sbilanciamenti e radicalizzazioni ideologiche.

 

D: Anche alla base del mal di testa potrebbe esserci un compromesso imperfetto?

R: Il nostro cervello, come raccontava Rita Levi Montalcini, è un accrocco imperfetto. Si è espanso di due terzi nel genere Homo, spingendo sui lati e verso l’alto, si è trovato spazio dove c’era, a scapito del resto. Non deve mai surriscaldarsi. Il cervello è molto sensibile alla temperatura. Ma se cresce di volume si scalda di più, perché la superficie di dispersione non cresce al cubo come il volume, ma al quadrato. C’è insomma un conflitto fisico tra la tridimensionalità e la bidimensionalità. La soluzione di ripiego fu quella di addensare molto di più la rete vascolare, con funzioni non solo di ossigenazione, ma anche di termoregolazione, a mo’ di radiatore. Un altro compromesso incerto, che forse è alla base di molti mal di testa.

Non c’è area cerebrale che non sia stata riutilizzata per funzioni diverse da quelle originarie, come in un bricolage. Inoltre il nostro encefalo funziona grazie alle interazioni e ai compromessi tra parti evolutivamente più antiche e parti più recenti, spesso in contraddizione, con tutte le imperfezioni che ne conseguono. Soffre di molte disfunzioni e di malattie degenerative. Non so se alla base delle diverse tipologie di mal di testa possa esserci (oltre alla familiarità e ad altre cause) un compromesso evolutivo imperfetto, ma non mi stupirei se qualche ricerca scientifica lo mostrasse. Ma credo che lo si debba valutare caso per caso, senza appellarsi per forza all’evoluzione quando non si trova una spiegazione.

 

 

D: La nostra ricchezza genetica, figlia di vecchie infezioni da retrovirus nonché di ibridazioni con i cugini Neandertal e Denisova, ci ha lasciato in dote delle imperfezioni fisiche o delle predisposizioni a certe malattie?

R: Il nostro DNA è una macchina formidabile, ma non perfetta. E’ pieno di ridondanza, di sequenze che non servono apparentemente a nulla, di ripetizioni, di falsi geni, di geni che saltano qua e là, di porzioni di DNA introiettate da virus che ci infettarono in passato. Insomma il genoma umano è pieno di cianfrusaglie, ma funziona benissimo. Forse proprio quella ridondanza è alla base della sua creatività, della sua capacità di evolvere. La mutazione stessa è imperfetta e ambivalente: senza mutazioni non c’è variazione individuale, quindi non c’è evoluzione; ma le mutazioni producono anche danni, fanno impazzire le cellule, possono trasmettere malattie da una generazione alla successiva. La malattia quindi è parte della natura, che non è né buona né cattiva. Una sorpresa recente è che nel DNA di Homo sapiens sono presenti tracce genetiche di almeno altre due specie umane, estintesi 40 millenni fa, l’uomo di Neandertal e l’uomo di Denisova, con le quali i nostri antenato usciti dall’Africa si sono accoppiati a più riprese in Eurasia. Per quanto ne sappiamo, queste ibridazioni ci hanno fatto bene, ci hanno rafforzato. In biologia essere puri non è mai una buona idea, purezza significa debolezza genetica.

 

 
   Chi è Telmo Pievani

Insegna Filosofia delle scienze biologiche di Padova. È direttore di Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione, e collabora con il Corriere della Sera, Le Scienze e Micromega.

È autore di più di 230 pubblicazioni scientifiche nei campi della biologia evoluzionistica, dell'evoluzione umana, della filosofia della biologia e della filosofia della scienza generale.