ALIMENTAZIONE
SPORT
DIMAGRIMENTO
a cura di Orazio
Paternò
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DI
GLUTINE, DI GIBIGIANE E DI CIALTROPATIE… La sorgente inesauribile di supercazzole che zampilla dal bacino della superstizione resta sempre l’ossessione per il “naturale”, alimentata dai tanti rivoli delle paure per la “manipolazione” del cibo. Così, oggi, la telenovela della malinconia pseudoscientifica apre la sua millesima puntata con una nuova protagonista: LA PAURA PER IL GLUTINE. Solo il combinato disposto di geni predisponenti e glutine possono (ma non è detto) scatenare in qualsiasi momento della vita quel proditorio attacco autoimmune ai villi intestinali da parte dei propri linfociti e producendo tutta una serie di disagi legati al conseguente cattivo assorbimento degli alimenti. Bastano 50 milligrammi di questa proteina famosa perché dona elasticità agli impasti del pane o della pizza per scatenare quella reazione allergica che affligge l’1% della popolazione italiana: LA CELIACHIA. Si tratta di un’allergia riconosciuta dalla medicina e che svela la propria identità nelle lesioni intestinali e nella presenza di anticorpi specifici nel sangue. Da qui non si scappa. E l’abiura del glutine è obbligatoria se si vuole salva la vita. Gli addentellati al “naturale” vedono come fumo negli occhi l’intervento dell’uomo sul cibo. In particolare quello operato sui vegetali. Come se incroci e mescolamenti genetici tra piante di varietà e specie diverse appartenessero solo ai laboratori degli ultimi decenni. Peccato che in natura queste sono operazioni all’ordine del giorno. Che nuove non sono e non sono nemmeno prerogativa dell’uomo. Nell’intervento “proditorio” e “contro natura” dell’uomo sui vegetali trova facile appiglio l’idea che esso sia la causa di quella sensibilità al glutine mai dimostrata e che il markeTTing ha già assurta a peste moderna. Convincendo soggetti sani e perfettamente compatibili con il glutine a seguire una dieta GLUTEN-FREE. Adducendo argomentazioni che sono il tripudio del dimenticabile. Veicoli di questa grottesca rappresentazione di pochezza attori di vaglia e di voglia di denari facili come Gwyneth Paltrow e Russel Crowe. Come resistere al fascino di un mercato che nel solo 2013 ha mosso 3.7 miliardi di dollari? Mentre il popolo-del-webbe resta fermo al palo, convinto che gli ambienti “alternativi” siano popolati da sinceri filantropi che si ispirano all’epica della battaglia dell’eroe solitario contro la “cattiva” scienza e le “cattive” multinazionali. Di professione animatori di una cultura callosamente chemiofobica. La celiachia non è affatto una malattia moderna, come testimoniò Areteo di Cappadocia, medico greco del nel II sec d.C. che ne descrisse i sintomi per la prima volta. Anche se l’inizio della diffusione malattia ha avuto luogo con la civiltà greco-romana (coltivazioni intensive e boom di assunzione di cereali). Ma il caso più antico risale al I sec. d.C. con la Ragazza di Cosa (Ansedonia in Maremma). Tra gli evidenti sintomi visibili (osteoporosi, cripta orbitale tipica dell’anemia, ipoplasia dello smalto dentario…) e la conferma del DNA (geni che predispongono alla celiachia) l’analisi delle spoglie della donna hanno lasciato poco spazio all’incertezza. La fanciulla era celiaca in tempi non sospetti. Dunque le molecole oggi contenute nel grano scatenanti la malattia si trovavano già in varietà di grano molto antiche, come quelle consumate all’epoca della Ragazza di Cosa. Morale: le cause della malattia non sono legate al variare delle abitudini alimentari degli ultimi anni o alle presunte qualità “mortifere” dei grani “moderni”. Confrontando i test di quasi 10.000 prelievi di sangue effettuati su militari americani nel 1948 con quelli di altrettanti prelievi recenti è emerso che se negli anni ’50, negli USA, le persone affette da celiachia erano 2 su 1000, oggi sono quadruplicate arrivando a 8 su 1000, cioè circa l’1% della popolazione. Scoperta confermata anche successivamente da uno studio italiano nel quale si è visto che in 15 anni (tempo trascorso tra i due prelievi) l’incidenza della malattia è quasi raddoppiata Le cause di questo presunto aumento? Non pervenute. Ognuno dice la sua: dall’eccesso di pulizia, al mancato allattamento, agli immancabili OGM fino ai pesticidi e agli additivi. Le conferme sperimentali a queste ipotesi? Nessuna Non è comunque stata trovata alcuna traccia pubblica dell’associazione diretta fra l’aumento dei casi di celiachia e i grani “moderni”, il Creso in particolare.
Oltre alla celiachia esistono altre due condizioni che si collegano all’assunzione di frumento, riconosciute dalla medicina: 1. L’ALLERGIA AL FRUMENTO, con rilascio di istamina e sintomi quali asma, rinite, orticaria… 2. LA SINDROME DEL COLON IRRITABILE. Colpisce 10 persone su 100 con dolori addominali, gonfiore e produzione di gas. È la classica “colite” e si ridimensiona togliendo gli alimenti contenenti i FODMAP (cereali, latte, mele, cipolle, mango, pera, cocomero, ciliegie, albicocche, verdure a foglia larga, asparagi, broccoli, legumi, peperoni, funghi…) Seguire, in questo caso, una dieta senza glutine è fatica sprecata perché non elimina altre possibili fonti che scatenano la reazione. Predicare l’eliminazione del solo grano per trattare la sindrome è uno show marchiato dal sigillo dell’inutilità.
Negli ultimi anni sono aumentate le persone che lamentano sintomi simili a quelli della celiachia, senza però avere la predisposizione genetica e nonostante siano risultate negative ai test classici. È stata chiamata “SENSIBILITÀ AL GLUTINE”. Un’espressione vaga, perché la confusione regna sovrana. Si lamentano i sintomi, ma non c’è predisposizione genetica né lesioni intestinali. Autosuggestione? Verità? Esiste davvero questa “sensibilità al glutine”? Non è ancora chiaro. Potrebbe essere il glutine o potrebbero essere altre delle tante sostanze presenti nel frumento. In questo clima di incertezza il marketing alimentare è entrato a gamba tesa snocciolando titoli e slogan sfolla-cervelli, da archiviare nel comparto dell’indifferenziata: “Tutte le peggiori malattie, ogni disagio fisico, umorale ed esistenziale…è tutta colpa del glutine!”
SENSIBILITÀ AL GLUTINE: LA POSIZIONE
DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA CELIACHIA Sulla
controversa sensibilità al glutine si è espressa
l'AIC (Asociazione Italiana Celiachia) tramite un comunicato
riportato dal Corriere della Sera: “A
oggi la GS (Sensibilità al Glutine) è ancora
classificata in qualche modo “per differenza” con
la celiachia e non dispone di
una casistica di studi che permettano di identificarla in modo univoco,
certo e
indiscutibile.
Si
tratta in ultima istanza di una
sindrome che necessita inevitabilmente di approfondimenti scientifici
mirati…” UN GLUTINE DIVERSO RISPETTO AL PASSATO?
NESSUNA PROVA Presi i dati delle migliaia di varietà di grani coltivate negli USA a partire dal 1925 si è calcolato per ogni anno il valore medio di proteine contenute. Il glutine rappresenta l’80% circa delle proteine del frumento. Risultato: tralasciando i picchi (il 1938 è stato l’anno a più alto contenuto di glutine con una media di proteine che sfiorava il 19%) il contenuto di proteine sembra oscillare sempre tra il 12% e il 15% senza mostrare un aumento progressivo. Di conseguenza anche il glutine non ha subito oscillazioni. ALLORA SIAMO NOI AD ASSUMERE PIÙ GLUTINE CON LA DIETA? No, perché oggi il consumo medio di frumento è di circa 60 kg all’anno per persona. Cento anni fa era di circa 100 kg Si potrebbe eccepire che il glutine abbia subito dei rimaneggiamenti molecolari tali da risultare meno “digeribile”. I responsabili della risposta immunitaria alloggiati nel glutine sono delle proteine dette epitopi. Ma questi piccoli “guastatori” sono stati rintracciati un po’ dappertutto, sia nei grani “antichi” sia in quelli “moderni”. L’ipotesi più probabile è che in passato ci fosse una variabilità maggiore e quindi capitava di assumere con la dieta una miscela di epitopi diversi, alcuni dannosi, altri innocui Nemmeno
gli
atleti si sono dimostrati immuni dal contagio degli stereotipi che
ipnotizzano
come gibigiane sugli occhi. Anche il fortino dello sport
d’élite può essere
vinto ed espugnato dalla seduzione della semplificazione. Gli studi in
merito
sono pochi. La rivista Medicine and Science in Sports and
Exercercise (2015)
ha provato a sciogliere il dubbio: bandire il glutine può
migliorare la performance di un atleta sano? Già,
perché ci sono atleti avvezzi
ad auto prescriversi una dieta gluten-free, pur essendo sani. La
dieta
gluten-free è stata somministrata ad atleti ciclisti (uomini
e donne) in una
condizione di controllo e per il breve periodo di una settimana. I
volontari
non erano celiaci né avevano alle spalle una storia di
sindrome del colon
irritabile. Risultato: nessun miglioramento della performance e nessuna
epifania di sintomi gastrointestinali o di marker infiammatori (IL-1β,
IL-6, IL-8, IL-10, IL-15, TNF-α).
L’origine autosuggestiva del malvezzo è stata
confermata da un’altra
prestigiosa rivista, l’International
Journal
of Sport Nutrition and Exercise Metabolism (2015).
IN CONCLUSIONE Al netto delle allergie accertate (al glutine e al frumento) e di quei disagi che vanno sotto il nome di “sindrome del colon irritabile” esiste una terra di mezzo, un campo ancora aperto di ricerca scientifica che indaga la presunta relazione tra sintomi di varia natura e il consumo di glutine. Intanto il campo è stato sgomberato da alcuni dubbi: 1. le varietà “moderne” di grano non sembrano avere più glutine di quelle “antiche” 2. gli esseri umani ne assumono quantità inferiori a quelle di 100 anni fa, quando la celiachia a livello mondiale aveva un’incidenza molto minore 3. l’intolleranza al glutine non è una malattia moderna 4. il contenuto di glutine nei grani americani degli ultimi 100 anni non ha subito oscillazioni significative 5. Nessuno ha ancora dimostrato l’esistenza della sensibilità al glutine, né il suo contrario L’incertezza (la scienza ha bisogno dei tempi della ricerca e della verifica) è l’alloggio ideale per il virus della superstizione che si alimenta di paure. E la paura della complessità è in prima linea tra le fobie. Figli della nevrosi urbana abbiamo bisogno di esorcizzare l’ansia di una realtà complessa e di sublimare certe angosce scaraventandole su un nemico facile da individuare. E su questo terreno proliferano i letamai del baracconismo. Il cui afrore annebbia i sensi di tanti, senza distinzione di rango. Abbiamo infatti visto che anche lo sport di alto livello può lasciarsi sedurre dall’idea di surfare sull’onda di mode senza alcuna base scientifica e dall’amaro gusto pubblicitario. Perché accettare ancora questa macelleria della ragione, questo continuo scivolare verso gli inferi di una pseudoscienza che vende grottesco a caro prezzo? L’ottimismo e la storia mi spingono alla certezza che presto anche questo ennesimo movimento di gibigiane verrà schiacciato dolorosamente sotto la pressa della scienza… BIBLIOGRAFIA
E
SITOGRAFIA
No
Effects of a Short-Term Gluten-free Diet on
Performance in Nonceliac Athletes.
Lis D, Stellingwerff T, Kitic CM, Ahuja KD, Fell J. Int J Sport Nutr
Exerc Metab. 2015
Feb;25(1):37-45. doi: 10.1123/ijsnem.2013-0247. Epub 2014 Jun 5. Exploring
the popularity,
experiences, and beliefs surrounding gluten-free diets
in nonceliac athletes.
Lis DM1, Stellingwerff T, Shing CM, Ahuja KD, Fell JW.
Non-celiac gluten
sensitivity: literature review.
Mansueto P, Seidita A, D'Alcamo A, Carroccio A.
Non-celiac
gluten sensitivity. Is
it in the gluten or the grain?
Nijeboer P, Bontkes HJ, Mulder CJ, Bouma G.
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