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A VOLTE RITORNANO: LA DIETA VEGANA GUERRA
IMMOTIVATA ALLA FETTINA
Mentre le sempreverdi diete iperproteiche hanno incassato e incassano dividendi milionari grazie ad un marketing illusionistico che ha solo generato macelleria salutistica, stiamo assistendo al rigurgito integralista di corazzieri, staffieri e palafrenieri della dieta vegana, instancabili cannoneggiatori a tempo pieno degli onnivori. Navigando in rete si nota un allargamento del cordone sanitario attorno a quello che è sempre stato uno stile di vita, più che un’alimentazione di stile. Nutrito dalla feroce ostilità alla bistecca o al branzino. Ma anche al latte, alle uova e al formaggio. Insomma, la dieta vegana ha negato tutto ciò che è legato al mondo animale e al loro allevamento in cattività in nome di una devozione assoluta e incondizionata a frutta, verdura e cereali. Ma guai alla fettina. E dato che l’estremismo non conosce frontiere, i vegani danno il meglio di sé nelle loro declinazioni più aberranti:
Da dove prende spunto questa spietata crociata anti-scaloppina? Forse da ricerche inoppugnabili che hanno bocciato tout-court il consumo di prodotti animali perché killer di una esistenza longeva e in salute? No, dato che la scienza, come vedremo, ha sempre detto no al monolitico stile vegano. Compulsando le argomentazioni pro-vegan e salvo qualche maldestro tentativo di spacciare per scienza delle isolate ricerche parascientifiche, vediamo che tutto questo baccagliare trae linfa solo da una corrente ideologica zoocentrica. Scelta legittima, ma di carattere emozionale e non razionale. Nell’ambito delle scelte emozionali è fatica di Sisifo accanirsi sul confronto. Al limite si pagherà personalmente lo scotto dell’imbocco della strada sbagliata. La contestazione al veganesimo sarà sul piano eminentemente scientifico, quello che i vegani tentano di fare proprio propugnando fumisterie illusionistiche pseudo mediche allo scopo di dare dignità a ciò che è solo uno dei tanti pericolosi estremismi emotivi nel panorama delle diete. ONNIVORI
O VEGANI? Bresaola o mela? Astice o sedano? Latte di mucca o latte di soia? Come dirimere l’annosa questione usando la bussola della scienza? Cosa dicono le ricerche in merito? Si campa meglio solo mangiando frutta e verdura, o è necessario mangiare di tutto?
PERCHE’
NO ALLA DIETA VEGANA?
USEREMO
TRE TIPI DI APPROCCIO… UN PRIMO APPROCCIO è
di carattere medico Cosa dicono le ricerche condivise dalla comunità scientifica in merito consumo esclusivo di vegetali e cereali, abbandonando i prodotti animali? Ecco i risultati… ■ Assenza di Vitamina B12 (anemia perniciosa, disturbi del sistema nervoso). La vitamina B12 è assente nel mondo vegetale. Senza carne, pesce, uova e latte sono guai per la salute dei globuli rossi e del sistema nervoso. Inoltre la B12, in unione con un'altra vitamina, l'acido folico, concorre ad abbassare i livelli di omocisteina, aminoacido che, in eccesso (sopra le 10/12 mmol/lt - nei vegani il livello medio è di 14 mmol/lt), sembra legato ad un aumento di infarti, ictus e trombosi venose profonde ■ Ridotto apporto di Ferro (biodisponibile solo all’1% nei vegetali, al 10% nei prodotti animali) ■ Ridotto apporto di Calcio e maggior rischio di osteoporosi (EPIC-Oxford study, 2007) ■ L’eccesso di acido fitico presente nelle proteine dei cereali e nei vegetali (come la soia) riduce l’assorbimento di zinco, calcio, magnesio e ferro ■ L’eccesso di ossalati presenti nei cereali integrali, cavoli, spinaci e rabarbaro inibiscono l’assorbimento di ferro, magnesio, ma soprattutto calcio ■ Attenzione all’eccesso di soia, perché riduce l’assorbimento di alcuni minerali, soprattutto lo zinco. Tale problema sovviene nel momento in cui più del 20% delle proteine introdotte vengono dalla soia o suoi derivati. ■ Carenza di alcuni aminoacidi e grassi essenziali (tipo omega 3 del pesce). Quanto agli aminoacidi, sappiamo che la lisina (amminoacido limitante) carente nei cereali potrebbe essere compensata da quella dei legumi, mentre la metionina (amminoacido limitante) carente nei legumi potrebbe essere soddisfatta dai cereali. In teoria. In pratica bisogna fare dei calcoli col bilancino per garantire quel giusto equilibrio tra lisina e metionina. Una fatica che l'assunzione delle proteine animali risparmierebbe. Quanto ai grassi essenziali, in un'alimentazione vegana è vero che l'omega 3 (detto acido alfa-linolenico) è garantito da noci, oli di soia e mais, ma alcuni studi sollevano dubbi sulla sua conversione in EPA e DHA, acidi grassi fondamentali per la salute. EPA e DHA sono già belli e pronti nel pesce, senza bisogno di passare dall'acido alfa-linolenico. ■ L'eccesso di carboidrati per colmare il "buco" delle proteine animali alza il carico glicemico quotidiano e, di conseguenza, il sovrappeso e l’obesità ■ Il livello di colesterolo totale dei vegani è basso, ma la frazione buona, l’HdL, non viene modificata da una dieta vegana. L’HdL viene invece elevato dai grassi saturi animali. Inoltre il beneficio viene praticamente annullato dagli alti livelli di omocisteina per una carenza cronica di vit.B12. ■ Vegani e cancro al colon e al retto. E' vero che il consumo di carni rosse o di grassi animali, come i formaggi, si lega ad un incremento di questi due tipi di tumore, ma solo se concomitanti ad un sovrappeso. Nei soggetti normopeso il rischio tumorale resta praticamente invariato. Allo stesso modo uno studio condotto dalla Harvard School of Public Health su 350.000 donne ha dimostrato che il rischio di tumore al seno non è tanto correlato ad un basso consumo di vegetali, ma all'obesità. Dunque il consumo di grassi animali non alzerebbe il rischio di tumore in assoluto, ma solo se collegato all'obesità per un abuso degli stessi. Succederebbe lo stesso in caso di abuso di carboidrati.
Messa clinicamente al bando la dieta vegana rispetto all’onnivora, cosa ci dice la scienza se mettiamo a confronto chi dice un no secco alle proteine animali (il vegano) con chi segue la via moderata di una dieta che ripugna sempre carne e pesce, ma aperta a uova, latte e latticini (il vegetariano)? Se la medicina ha riconosciuto i benefici di una dieta vegetariana tra gli adulti (aiuta a prevenire malattie cardiache e tumori, ipertensione e diabete di tipo II), ha messo in guardia dall’imporre una dieta vegetariana carente di proteine animali nel caso dell’alimentazione infantile. Molto più severi i giudizi sulla dieta vegana sia per gli adulti che per i bambini a causa di tutti i rischi enunciati sopra. Alcune rassegne di studi, tra cui il Journal Am Diet Assoc. (2001), avrebbero dato l’ok per una dieta vegana nei bambini e nella prima infanzia, ma al prezzo di usare integratori e cibi fortificati per supplire alle carenze nutrizionali tipiche dello stile vegano. Ne vale la pena? Un
recente studio pubblicato nel
2010 mette in guardia i bambini sottoposti a dieta vegana per le
carenze di
vit. D e calcio che possono ostacolare il regolare sviluppo dello
scheletro (Pediatr
Endocrinol Diabetes Metab, 2010) Arch. Pediatr., nel novembre del 2009, riporta il caso di un bambino che è stato ricoverato in ospedale a causa di seri problemi quali: mancata crescita, anemia megaloblastica, e ritardo dello sviluppo psicomotorio. Aveva 10 mesi d’età ed era stato esclusivamente allattato al seno dalla madre vegana che presentava sintomi analoghi al figlio. DIETA
VEGANA NEI BAMBINI LA POSIZIONE OMS E UNICEF
Dal
documento congiunto sulle linee
guida nutrizionali infantili prodotto da OMS e UNICEF: UN SECONDO APPROCCIO è di carattere paleo-antropologico
Cosa mangiava un uomo Sapiens Sapiens prima
della Rivoluzione Agricola? Vediamo i risultati di una metanalisi delle
evidenze paleonutrizionali delle popolazioni umane del tardo
Paleolitico:
La storia resta dalla parte dell’onnivoria, anche se c’è ancora uno sbilanciamento, subordinato alla disponibilità ambientale, verso le proteine.
SCIMPANZÉ, QUEL BOIA CHE HA INFRANTO IL SOGNO VEGANO
Article International Journal of Primatology August
2015, Volume
36, Issue 4, pp
728-748 First online: 19 July 2015 Hunting
and Prey Switching by Chimpanzees (Pan troglodytes schweinfurthii) at
Ngogo
E DOPO LA RIVOLUZIONE AGRICOLA? Diecimila anni fa, con l’avvento delle coltivazioni il regime alimentare umano è virato verso un maggiore consumo di cereali, ma senza abbandonare la razione proteica che poteva derivare dalla carne degli animali domestici o dalla selvaggina, per quanto impoverita dal prelievo che insisteva sempre sullo stesso territorio (la popolazione era stanziale). L'ARGOMENTO DELLA LUNGHEZZA DELL'INTESTINO Tra
le argomentazioni portate avanti dai vegani per giustificare la
presunta vocazione umana al veganesimo c'è quella relativa
alla
lunghezza dell'intestino. Tipico, dicono loro, dei ruminanti e degli
animali ad esclusiva alimentazione vegetale. In due brevi punti:
1. Vero, abbiamo mantenuto un intestino lungo, ma per un semplice motivo spiegato dall'evoluzione. E che va in direzione opposta al veganesimo. L'intestino è rimasto lungo per il principio della "conservazione della funzione": non avendo vantaggi o svantaggi evolutivi sarebbe stato inutile, anzi, dispendioso privilegiare individui con un intestino corto. Accorciare l’intestino avrebbe solo richiesto una spesa inutile di risorse energetiche 2. Lunghezza e profondità dei ciechi intestinali. L'argomento più robusto. I ciechi sono “sacche” colonizzate da protozoi e batteri in grado di digerire la cellulosa. Molto sviluppati nei ruminanti, poco nell’uomo (sia in lunghezza che in profondità) e nei quali la flora batterica deputata alla digestione della cellulosa è spesso inattiva. I ciechi, oltre ad essere pigri, corti e poco profondi sono anche inclini all’infiammazione (vedi appendice vermiforme). Nella figura, sono messe a confronto le strutture cecali di mammiferi erbivori e l'uomo. La differenza è evidente. Tutto questo è segnale di una scarsa propensione a digerire le fibre, segno di un intestino non certo votato al veganesimo.
CARNE, EVOLUZIONE DELL’INTELLIGENZA E AFFERMAZIONE DEMOGRAFICA Pare che la diffusione demografica dell’uomo preistorico e lo sviluppo dell’intelligenza siano strettamente correlati al consumo di carne. Perché? I ricercatori della Lund Univerity hanno messo a confronto i tempi di allattamento di settanta specie di mammiferi con diversi regimi alimentari. I risultati pubblicati su PLOS One hanno concluso che i tempi dello svezzamento si sono accorciati nel corso dell’evoluzione umana grazie a una dieta sempre più ricca di carne. Cosa c’entra questo con lo sviluppo demografico? Il consumo di carne abbrevia il tempo dell’allattamento, riducendo il tempo tra le nascite. Uno svezzamento precoce dettato dall’introduzione della carne rende possibili più parti. Noi abbiamo dimezzato i tempi di allattamento rispetto ai nostri cugini scimpanzé. Inoltre viviamo il doppio di loro. Ecco spiegato il nostro peculiare successo demografico. Quanto all’intelligenza? Anche in questo caso il consumo di carne ha giocato un ruolo da protagonista. La caccia è stata una conquista decisiva in tal senso per due motivi: a)
il
cervello è cresciuto grazie
all’assunzione di proteine animali b)
la
pianificazione delle strategie di caccia
ha stimolato ulteriormente l’aumento
dell’intelligenza Il consumo di carne correlato con lo sviluppo del cervello era già stato anticipato da una review pubblicata su J Nutr., nel 2003 UN TERZO ED ULTIMO APPROCCIO è l’esame critico delle ecologie alimentari delle popolazioni umane attualmente esistenti Cosa dedurre da ciò che si mangia nel mondo? Ebbene, sebbene ci siano diverse popolazioni che conducono un regime alimentare vegetariano, sono molto rare quelle che escludono completamente le proteine animali.
Il ruolo cruciale svolto dalla carne nel corso dell’evoluzione e l’acritica nostalgia per i “tempi d’oro” del passato remoto ha offerto la sponda ai sostenitori delle diete iperproteiche, foraggiate da un’estremismo quasi pari alle vegane. Le diete iperproteiche, a differenza delle vegane, hanno il culto della carne e del pesce e mostrano la faccia cattiva ai farinacei come pane e pasta. Della pervicace, quanto dannosa, messa al bando della pasta abbiamo già parlato negli articoli “Un viaggio nelle proteine” e “Le diete drastiche: perché non funzionano”. Vegana e iperproteica sono compagne di viaggio in quella strada affollata di diete da cronicario sistematicamente smentite dalla scienza. Le diete iperproteiche e le diete vegane sono dei trompe l’oeil, illusioni ottiche che stupiscono per i loro artefatti orizzonti di salute e dimagrimento. Mentre meriterebbero la livrea di maggiordomi al servizio del business (diete iperproteiche) e della cieca ideologia parascientifica (diete vegane). IL
CONSUMO DI CARNE ACCORCIA LA VITA? Uno
dei cavalli di battaglia dei vegani è il j’accuse
alla braciola, un accanimento suffragato da studi interpretati
“ad veganum”.
Basta analizzare i numeri e le conclusioni degli studi
perché il fronte vegano
mostri il lato debole. Ad un’osservazione con la lente della
ragione e non con
quella dell’emozione, emerge che, come sempre, vale il
principio della quantità
e il contesto. Gli studi ci dicono che se l’estremismo
carnivoro produce un
documentato aumento di tumori e malattie cardiovascolari, ancor
più accentuato
se associato al sovrappeso, la moderazione di carne non produce tagli
sulla
durata e sulla qualità della vita. I grassi animali sono
determinanti sulla
salute solo se consumati in grosse quantità, oppure sono
un’aggravante se si è
già in forte sovrappeso. Ma solo perchè il loro
abuso peggiora il sovrappeso
con tutti i rischi che questo stato ponderale comporta.
E’ l’obesità ad
essere il
vero killer, non
l’uovo alla coque o la fettina di pollo. L’obeso
avrebbe i giorni contati anche
se abusasse di pasta, anziché di carne.
“Annals of Internal
Medicine” ha
esaminato le condizioni di salute di 130.000 persone. E’
emerso che la percentuale di decessi fra le persone che consumano
pochi carboidrati, in nome delle proteine animali, sale del 12%. Il
rapporto
fra alimentazione e malattia è comunque strettamente
correlato anche al tipo di
proteine scelte. Chi abbandona la pasta
per la carne ha il 14% in
più di
possibilità di morire d’infarto e il 28% di
ammalarsi di tumore. Uno studio pubblicato nel 2011 della Harvard
Medical School ha dimostrato che un'alimentazione povera in
pasta e
farinacei contribuisce ad ostruire le arterie aumentando il rischio di
infarti
e ictus. Infine, recentemente
è stato pubblicato su Stroke
(2011)
un lavoro dove si è messo in relazione il consumo di carne
rossa, segnalato
dagli stessi partecipanti allo studio, con l’incidenza di
ictus (infarto
cerebrale, emorragia intracerebrale o sub aracnoidea, ictus non
specificato)
nel corso di un follow up di 10.4 anni. Sono state seguite 34.670 donne
facenti
parte della Swedish Mammography Cohort. I risultati dello studio hanno
evidenziato che le donne che dichiaravano un
consumo di carne rossa > 102
g/die avevano un rischio maggiore
(42%) di sviluppare un infarto cerebrale rispetto alle donne
che
dichiaravano un consumo < 25 g/die. MITI
VEGANI LE FIBRE PROTEGGONO DAL TUMORE AL COLON RETTO…? Quando delle ricerche più accurate hanno ridimensionato questa certezza oramai iscritta nelle tavole delle leggi vegane. Cosa
ha confuso i ricercatori che hanno affermato che mangiare
più frutta e verdura
protegge l’intestino dal tumore al colon retto? Per esempio
la ricerca concentrata
sul colpevole che vogliamo. Escludendo tutti gli altri sospetti. Lo
slogan “il
vegano ti dà una mano (contro il cancro)”
è brandito come una spada dai
vegani, ma si dissolve quando i ricercatori inseriscono nello studio
anche ALTRI
FATTORI DI RISCHIO DIETETICI, come riporta l’analisi
combinata degli studi sul
cancro colon rettale pubblicata su JAMA nel 2005 e condotta su 725.628
persone. C’è
di più. Una revisione di studi e una metanalisi pubblicate
sull’ European
Journal of Cancer nel 2010 ha voluto fare le pulci
alla “assodata”
correlazione inversa tra consumo di vegetali e incidenza di alcune forme di tumore,
come quello
orofaringeo, all’esofago, al polmone, allo stomaco e il
famigerato cancro al
colon retto. I ricercatori hanno quantificato il risparmio di tumori se
una
politica nutrizionale spingesse gli abitanti di Francia, Germania,
Olanda,
Spagna e Svezia a consumare quei 500 grammi di frutta e verdura
raccomandati ogni
giorno. I risultati? Molto modesti. Sui tumori previsti entro il 2050,
solo lo
0,19% (398 casi su centinaia di migliaia in 5 nazioni) potrebbero
essere
prevenuti a patto che si consumino 500 gr al giorno di frutta e
verdura. Ci sono altri fattori da considerare? Probabile. Magari anche l’attività fa la sua parte nella prevenzione del tumore, pur se l’ipotesi non è ancora accertata, come ho scritto nell’articolo http://www.nutrizionesport.com/attivit%E0%20fisica,%20salute%20e%20invecchiamento.html QUALCHE
COSA C’É. MA IN CHE MISURA? E CHI NE TRAE
VANTAGGIO? La
più recente meta analisi di studi prospettici pubblicata su Gastroenterology
nel 2011 ha concluso tiepidamente quanto alla possibile correlazione
tra
consumo di frutta e verdura e protezione dal tumore colon rettale: “c’è una debole ma
statisticamente
significativa associazione inversa non lineare tra consumo di frutta e
ortaggi
e rischio di cancro al colon retto”. E in questo
tiepido riconoscimento,
l’effetto maggiore si è osservato in chi partiva
da un modesto livello di
consumo di vegetali. Niente trippa per gatti se già siete
buoni consumatori di
vegetali. CONCLUSIONE Fatte salve le indubbie proprietà costipanti e lassative delle fibre, compreso il loro alleggerimento dal carico di zuccheri e grassi in abbinamento ad un pasto, ALLA LUCE DELLE NUOVE RICERCHE BISOGNA RIMODULARE I FACILI ENTUSIASMI DI CERTE MODE ALIMENTARI che avevano attribuito alle fibre vegetali un ruolo esageratamente protettivo, taumaturgico direi, nei confronti di seri pericoli come quelli tumorali. Soprattutto nei confronti del tumore al colon retto. Non pensiamo di scampare da questo tipo di tumore semplicemente mangiando frutta e verdura. Inoltre non dimentichiamo che troppe fibre interferiscono con l’assorbimento di preziosi minerali, mettendoci a rischio di carenza e versando altri problemi nel piatto della salute. Anche per le tanto celebrate frutta e verdura vale il principio della modica quantità. Quanto? In generale ci si attesta su 5 porzioni giornaliere tra frutta e verdura. Oppure 500 gr al giorno. Con tempi e dosi che devono essere valutati soggettivamente. OLIMPIADI DELLA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE: LA DIETA VEGANA SOLO QUINTA I sermoni paroliberi del VEGANESIMO spinto hanno sempre cercato di ammaliare la platea degli ingenui e dei fideisti servendo abbondanti porzioni di pseudoscienza. Vedi i deliri psichedelici sulla fisiologia e anatomia “vegane” dell’uomo. Il veganesimo ha sparso parole e idee di indeglutibile consistenza. Al punto da allappare i neuroni. Scivolati sulla superficie avvilente di argomenti in disarmo scientifico, un’altra breccia si fa largo nel muro ideologico del veganesimo: LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE, tema relegato da oggi nello scaffale dell’autogol. Sì, perché questo era uno dei cavalli di battaglia dei palafrenieri della soia: il veganesimo salva l’ambiente. Dunque, se avete a cuore le foreste dovete tutti ammainare la bandiera del cotechino e alzare quella vergata “GO VEGAN!”, ci facevano capire gli alfieri dell’alfa, ma privativo. Già in tempi non sospetti era intuibile che se il mondo intero si fosse consegnato al culto del cetriolo, rinunciando in toto ai prodotti animali, sarebbe stata un’apocalisse del bio-universo: avremmo dovuto coltivare anche il giardino di casa per avere tutti un po’ di erba d’orzo a pranzo e ravioli al brasato di seitan a cena (senza glutine, mi raccomando!) Oggi una ricerca assesta un colpo fatale al format della semplificazione vegana. Sono stati elaborati modelli di simulazione biofisica per mettere a confronto dieci stili alimentari, in una sorta di OLIMPIADE DELLA SOSTENIBILITÀ: a parità di superficie agricola coltivata l’oro va a chi mangia frutta, verdura e poca carne, mentre gli oltranzisti del tofu si devono accontentare di un misero quinto posto in classifica Il confronto è stato fatto tra:
La dieta vegana riesce a nutrire meno persone di due tipi di diete vegetariane (latto-vegetariana e latto-ovo vegetariana) e di due tipi di alimentazioni onnivore. Se l’agricoltura americana fosse totalmente dedicata alla dieta vegana potrebbe sfamare circa 735 milioni di persone, mentre adottando una dieta vegetariana con latticini si salirebbe a 807 milioni. PERCHÉ UN VEGANESIMO DURO E PURO È NEMICO DELL’AMBIENTE?
DAI
VEGANI AI VEGETARIANI Abbiamo già sottolineato come la scienza abbia sdoganato la dieta vegetariana, a patto che sia ben pianificata. Vediamo quali sono le risultanze degli studi che hanno correlato la compatibilità della dieta vegetariana con lo sport e l’integrazione. VEGETARIANI
E SPORT Una review pubblicata su Sports Medicine nel 2006 ha dato il via libera alla dieta vegetariana anche tra gli atleti. VEGETARIANI,
ALLENAMENTO CON I PESI E CREATINA Burke e Tarnopolsky, in uno studio pubblicato nel 2003 su Medicine and Science in Sports and Exercise, hanno riportato gli studi di una supplementazione di creatina in due gruppi di soggetti che si allenavano con i pesi. Un gruppo di vegetariani e uno di onnivori. Il gruppo di vegetariani, a causa del basso tasso di creatina nei muscoli per il ridotto consumo di proteine animali, ha dimostrato maggiore sensibilità all’integrazione di creatina. Via libera alla creatina per i vegetariani.
CONCLUSIONE All’esame
della paleo nutrizione, dell’ecologia alimentare e della
medicina la dieta vegana è una
scelta perdente.
Non per motivi ideologici, ma per pura sopravvivenza. Abbiamo visto che
facendo
un'analisi comparativa delle alimentazioni passate e presenti della
storia
dell'umanità è risultato che la nostra specie
appare come un primate
genericamente onnivoro con una specializzazione verso il consumo di
frutta,
noci e granaglie e un consumo di proteine animali preponderante
nell'età infantile.
Sotto il profilo medico l'alimentazione vegetariana ben
bilanciata è
accettata tra gli adulti,
ma è da pianificare con cura nei bambini. Bocciata
tout court, invece, la dieta vegana che si è
dimostrata priva di alcun senso salutistico
(assenza di vit B12, eccesso di fitati, ossalati, fruttosio, pochi
acidi grassi
essenziali, poco ferro biodisponibile, ostacoli
nell’assorbimento di minerali
importanti...). Salvo il caso di una dieta vegana unita ad integratori
e cibi
fortificati. La domanda è: se una
dieta
necessita di integratori per proteggerci dalle sue carenze, che senso
ha? In
ogni caso, premessa la fattibilità di una dieta vegana
integrata, resta
immotivata e di pura ispirazione ideologica la guerra alle proteine
animali.
Onnivori e vegani (ben integrati) potrebbero convivere pacificamente,
nel
rispetto delle proprie scelte alimentari. Alla
stessa stregua un eccesso di proteine non giova certo alla salute e
alle
aspettative di vita. Sembra banale, ma l’epilogo è
sempre lo stesso: mangiare
di tutto, con moderazione. Senza estremismi, senza mettere al bando
intere
categorie di nutrienti (patologie escluse). E
fare attività fisica… BIBLIOGRAFIA:
Health
effects of vegan diets.
Health effects of vegetarian and vegan diets.
Key TJ, Appleby PN, Rosell MS.
Position
of the American
Dietetic Association and Dietitians of
Canada: vegetarian diets. American Dietetic
Association; Dietitians of Cana da
Vegetarian diets : nutritional
considerations for athletes
Vegetarian diets: what do we know of
their effects on common chronic diseases?
Considerations in planning vegan
diets: infants
Mangels AR , Messina V .
The critical role played by animal
source foods in human (Homo) evolution.
Nutrition concerns and health
effects of vegetarian diets.
bone turnover
markers.
Ambroszkiewicz J
·
Feeding and
nutrition of infants and young children: guidelines for the WHO european region, with
emphasis on the Soviet
former countries
Comparative fracture risk in
vegetarians and nonvegetarians in EPIC-Oxford.
Appleby P, Roddam A, Allen N, Key T.
Impact of Carnivory on Human
Development and Evolution Revealed by a New Unifying Model of Weaning
in
Mammals
Consequences of
exclusive breast-feeding in vegan mother
newborn--case report.
Effect
of Creatine and Weight Training on Muscle
Creatine and Performance in Vegetarians
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