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Attività
fisica, salute e
invecchiamento Perché
muoversi migliora durata e
qualità della vita? Meglio
attività aerobiche o muscolari? E
a quali dosi? INTRODUZIONE Da sempre ci sentiamo salmodiare come un mantra il dovere al movimento quale ricetta per la salute. Un assioma riconosciuto da tutti, a parole. Contraddetto nei fatti dalla statistica che ci dipinge, impassibile, come un popolo orientato ad "ammalarsi sempre più di sedentarietà". Il sintomo più evidente della malattia è il sovrappeso, da scongiurare se di carattere viscerale, declinato in tutti i suoi effetti collaterali: problemi alla schiena, alle ginocchia, ipertensione, resistenza insulinica, diabete, arterie ostruite...Grasso e sedentarietà sono un binomio micidiale per le aspettative di vita. E chi è normopeso, ma sedentario, può considerare la propria salute meno a rischio? E' sufficiente non avere la pancia, pur restando ben incollato al divano, alla tv o al pc per tutto il tempo libero, perché il cuore sia al sicuro, le arterie non si ostruiscano, le ossa non siano fragili, le articolazioni efficienti...Insomma, è solo la misura della pancia il metronomo che scandisce durata e qualità della vita? O a monte c'è anche qualcos'altro? La sedentarietà è un attore di primo piano nel dettare tempi e modi dell'esistenza. In che misura prepara il terreno alla malattia e, dunque, ad una ridotta aspettativa di vita? Già negli anni '40 e '50 del secolo scorso gli studi epidemiologici relativi alla coronaropatia cominciavano a puntare l'indice sulla sedentarietà come uno dei fattori predisponenti. Nel 1953 Morris e i suoi collaboratori diedero l'abbrivio alla ricerca scientifica che si occupa di valutare la correlazione tra attività fisica e livello di salute: l'epidemiologia applicata all'attività fisica. Nel suo celebre studio valutò l'incidenza di coronaropatia tra guidatori di autobus, bigliettai, postini e impiegati d'ufficio. Emerse che in ogni fascia d'età (dai 35 fino ai 65 anni) i soggetti più attivi fisicamente, cioè i controllori e i postini, incorrevano in una malattia cardiaca o morivano per infarto in misura nettamente inferiore rispetto ai colleghi sedentari (autisti e impiegati). Più precisamente il tasso di mortalità risultò del 30% inferiore nei controllori rispetto agli autisti e del 25% inferiore nei postini rispetto agli impiegati d'ufficio. I numeri dello studio erano di tutto rispetto: 31.000 dipendenti (tra autisti e controllori) della London Transport Authority e 110.000 quelli delle poste (tra postini e impiegati). Da allora gli studi si sono moltiplicati e oggi si è giunti all'evidenza che la vita sedentaria è uno dei quattro fattori di rischio coronarico, insieme a fumo, ipertensione e ipercolesterolemia. Purtroppo, come vedremo più avanti, la sedentarietà non affligge solo il cuore. Cominciamo ad esplorare i danni della sedentarietà grazie all'epidemiologia:
Tra i più quotati fattori di rischio mortalità troviamo dunque il fumo, l'obesità, l'ipertensione, il diabete e un eccesso di lipidi plasmatici (colesterolo e trigliceridi). Tutti fattori, guarda caso, prevenibili (o contenibili) con l'attività fisica. Al fumo resta il triste primato di killer del cuore:
La lista dei danni silenziosi dell'inattività fisica potrebbe snocciolarci tanti altri dati e statistiche tutti compatti nel verdetto finale che equivale ad una rampogna: "bisogna fare attività fisica, pena una pesante sanzione in termini di salute e aspettative di vita". Le basi biologiche dell'attività fisica L'epidemiologia applicata all'attività fisica (scienza che studia la relazione tra attività fisica e salute) ha tratto conclusioni ancora più allarmanti: la relazione osservata tra poca o assente attività fisica e aumento delle malattie non è dovuta ai fattori confondenti come l'età, il sesso, il grasso corporeo, lo stato precedente di salute, la dieta, il fumo, il consumo di alcol, l'educazione e il reddito. Le prove fornite correlano al di là di ogni ragionevole dubbio lo sviluppo di numerosi stati di cattiva salute all'inattività fisica. Perché questo nesso così stretto tra salute e attività fisica? Che cosa mette il nostro stato di salute alle dipendenze dell'attività fisica? Per comprendere la risposta dobbiamo uscire dalle nostre ristrette coordinate temporali (la vita umana) ed allargare lo sguardo sulla ben più lunga scala cronologica dell'evoluzione. Noi siamo i figli di progenitori di successo, arrivati primi sul podio nella competizione alla sopravvivenza in un'arena di condizioni ambientali ostili e di fame, viste le scarse occasioni di abbondanza alimentare. I vincitori di questa gara lunga quanto la storia dell'umanità sono sopravvissuti grazie al movimento e all'adattamento degli organi ad esso. I nostri antenati hanno trascorso centinaia di migliaia di anni a cacciare e a spostarsi per lunghe distanze in nome del cibo. In questo quadro è stato favorito chi ha sviluppato un migliore adattamento alla fatica, oltre che una migliore capacità di immagazzinare energia sotto forma di grasso (creando un effetto boomerang metabolico, dato che oggi che il cibo è sempre abbondante). Gli altri, morti prematuramente per inadeguatezza, non hanno potuto trasmettere i loro geni meno efficienti alle generazioni successive. Invece il cuore, i polmoni, i muscoli, il sistema endocrino e gli organi interni dei più adatti hanno migliorato, nel corso dei lunghi tempi evolutivi, la loro tolleranza allo sforzo fisico e all'ambiente. Tant'è che l'attività fisica è stata e resta lo stimolo biologico essenziale necessario a mantenere efficienti e in salute tutti i nostri organi e sistemi. Insomma, siamo programmati per muoverci e per sottoporci ad un rodaggio perpetuo, pena il deperimento del "motore". La buona notizia è che questa ancestrale vocazione al movimento premia con risultati straordinari soprattutto chi, di punto in bianco, abbandona l'insana abitudine al bivacco da divano. Infatti a qualsiasi età iniziare a fare un po' di sport, abbandonare il fumo e contenere la pressione arteriosa allunga la vita. Nessuno, a questo punto, può accampare il più scontato degli alibi: "oramai è troppo tardi!". Cosa si intende per inattività fisica? L'inattività fisica è stata definita come una serie di attività muscolari troppo blande, troppo brevi e troppo poco frequenti da produrre quegli stimoli indispensabili al mantenimento di una buona funzionalità dei nostri organi. Per esempio, l'inattività fisica può essere la mancanza di contrazioni muscolari sufficienti a garantirne la ricostruzione. Oppure non raggiungere mai delle frequenze cardiache indispensabili (>50% della frequenza cardiaca massima) per la salute del cuore. Ovviamente il grado di inattività è relativo all'età e alle condizioni della persona. La quantificazione del concetto di "inattività" di un giovane sarà diversa da quella di un anziano. In questo articolo si
cercherà di
dirimere vecchi dilemmi che spesso riaffiorano:
Il percorso si
articolerà attraverso quattro
grandi aree tematiche: 1. Cosa vuol dire invecchiare in termini organici? Focus su cuore, muscoli, scheletro, sistema respiratorio, endocrino e nervoso e che impatto ha lo sport sulla loro salute e sul loro invecchiamento? 2. Quali miglioramenti garantisce lo sport agli obesi, anziani, giovani, fumatori...? 3. Per la salute è meglio fare attività aerobica o muscolare? E con che carichi di lavoro? 4. Sport e salute: meglio pesi o attività aerobiche? I benefici degli uni e dell'altra 5. Linee guida sull'attività fisica per il mantenimento e la promozione della salute in adulti, giovani e bambini Cosa vuol dire invecchiare in
termini
organici? Le funzioni fisiologiche migliorano fino ai 30 anni di età. Dopodiché inizia un declino che, però, è variabile tra le funzioni. Ad esempio, la velocità di conduzione dell'impulso nervoso diminuisce del 10%-15% fra i 30 e gli 80 anni, mentre la funzione ventilatoria cala del 40% nello stesso periodo. La frequenza cardiaca a riposo resta più o meno sempre quella con l'età, ma varia notevolmente la frequenza cardiaca massima. L'attività fisica gioca un ruolo di primo piano nel rallentare l'orologio biologico. Ad esempio, la capacità aerobica è superiore del 25% circa in soggetti fisicamente attivi rispetto ai sedentari di tutte le età. Se ci si mantiene allenati si può arrivare a 50 anni e valere come un soggetto di 20 anni sedentario. Vediamo nel particolare cosa succede col tempo ai vari organi e sistemi. CUORE E
FUNZIONE CARDIOVASCOLARE Funzione
aerobica Dopo i 20 anni e per ogni anno di età il consumo di ossigeno diminuisce di circa 0,4-0,5 ml/kg (circa l'1%). Ciò significa meno resistenza. Il trend può essere contenuto se si continua a fare sport ininterrottamente negli anni, al punto da abbassare la perdita del consumo di ossigeno da 0,5 a 0,25 ml/kg. Significa ridurre lo scarto del 50% rispetto ai coetanei sedentari. Frequenza
cardiaca Se con l'età non si modifica sostanzialmente la frequenza cardiaca a riposo (circa 70 battiti/min), quello che cambia in maniera significativa sono i giri massimi del motore, cioè la frequenza cardiaca massima. Se un bambino supera spesso i 200 battiti/min, un sessantenne non va oltre i 160 battiti/min. Il cuore perde 1 battito all'anno nella sua frequenza massimale. Per anni si è calcolata la frequenza cardiaca massima media con la formula 220-età. Tanaka e collaboratori hanno messo a punto una formula più precisa: [208- (0,7 x età)]. Questa riduzione media di frequenza massima è uguale tra adulti sedentari ed allenati. Questo trend inesorabilmente orientato verso il basso pare legato alle alterazioni morfologiche ed elettrofisiologiche del sistema di conduzione cardiaca: il nodo senoatriale e il fascio di His. A questo si aggiunge una regolazione verso il basso dei recettori β1 del cuore che diventano così meno sensibili all'azione batmotropa delle catecolamine. Gittata
cardiaca e gittata sistolica La gittata (o portata) cardiaca rappresenta la quantità di sangue pompata dal cuore in un minuto. A riposo è di 5lt/min, sia in soggetti allenati che non allenati. Si riduce con l'età a causa della riduzione della frequenza cardiaca. La gittata sistolica (o pulsatoria) è la quantità di sangue pompata dal ventricolo sinistro ad ogni sistole, o contrazione. E questa cambia con l'allenamento: se il ventricolo sinistro di un sedentario maschio, adulto e sano espelle 71 ml di sangue ad ogni sistole, quello di un allenato alla resistenza supera i 100 ml per arrivare fino a 166 ml nei soggetti di altissimo livello. Si riduce con l'età causando fino al 50% della riduzione della massima potenza aerobica. La gittata cardiaca è data dal prodotto della frequenza cardiaca per la gittata sistolica (GC = FC x GS). Un soggetto allenato pomperà, in 1 minuto, la stessa quantità di sangue di un sedentario, ma con meno battiti. E' evidente che il soggetto allenato avrà un cuore sottoposto ad un carico giornaliero nettamente inferiore rispetto a quello del sedentario. Entrambi devono far circolare lo stesso quantitativo di sangue nel corpo (5 lt/min), ma a condizioni diverse. L'allenato godrà di una frequenza cardiaca bassa, sia per un aumento del tono vagale ad effetto bradicardico, sia per una camera ventricolare più ampia che consente una maggiore entrata/uscita di sangue. Risultato: il cuore allenato batterà solo 50 volte al minuto per mettere in circolo 5lt di sangue (dato che espelle 100 ml di sangue ad ogni sistole), il cuore non allenato dovrà battere ben 70 volte al minuto per avere lo stesso risultato (la sua camera ventricolare contiene ed espelle 71 ml di sangue per volta). Flusso
ematico periferico Anche l'afflusso di sangue agli arti durante lo sforzo diminuisce con l'età. Negli atleti di mezza età si è rilevata una diminuzione del 10%-15% del flusso ematico nei muscoli attivi, ad una data intensità di lavoro, rispetto al flusso di atleti giovani e allenati. Questo deficit pare però ben compensato da una maggiore differenza a-vO2 (una maggior quantità di ossigeno viene assorbita dai muscoli) rilevata all'altezza degli arti inferiori di fondisti di mezza età nel corso di un esercizio submassimale. Inevitabilmente, pur godendo del bonus dell'allenamento, gli anni segnano un declino di parametri come la portata (o gittata) cardiaca, la gittata sistolica e il flusso sanguigno periferico. Ciò che ancora non è stato quantificato è, in questo contesto, il contributo dell'invecchiamento in sé rispetto al decondizionamento cardiovascolare associato alla riduzione dell'attività: colpa dell'invecchiamento o del minore allenamento? Ulteriori studi daranno il giusto peso ad entrambi. CUORE,
MALATTIE CARDIACHE E ATTIVITA' FISICA L'ipertensione La pressione arteriosa è una misura della forza esercitata dal sangue sulle pareti delle principali arterie. Se la pressione è elevata in maniera cronica si mette a rischio la salute di cuore, cervello, reni. Nel mondo l'ipertensione colpisce circa 600 milioni di persone, ogni anno ne uccide 7 milioni ed è responsabile dei 2/3 degli ictus e metà delle malattie cardiache. In Italia la familiarità per l'ipertensione penalizza le donne rispetto agli uomini (54% contro il 41%). Le aggravanti dell'ipertensione? Alimentazione scorretta, la sedentarietà, il sovrappeso. La causa ultima dell'aumento della pressione arteriosa non è ancora nota, ma i fattori di rischio sì: fattori genetici, troppo sale, grassi, alcol nella dieta, la resistenza all'insulina e l'iperinsulinemia, lo stress psichico e l'inattività fisica. Come è evidente, la sedentarietà è sempre tra i protagonisti in negativo. Studi epidemiologici hanno associato bassi livelli di attività fisica con un livello più elevato di pressione arteriosa e un rischio di circa il 30% superiore di sviluppare l'ipertensione. Una persona con una fitness molto elevata, dunque ben allenata, ha un rischio del 50% inferiore di sviluppare questa malattia rispetto a chi ha un basso livello di fitness. Le
malattie coronariche La cardiopatica coronarica o ischemia cardiaca è caratterizzata dalla graduale ostruzione delle arterie destinate al nutrimento del cuore. Quando il restringimento del vaso assume dimensioni incompatibili col rifornimento del cuore, avviene l'infarto. Gli uomini sono maggiormente esposti alla coronaropatia delle donne. Soprattutto nella mezza età, quando gli uomini hanno un rischio sei volte maggiore delle donne. La cardiopatia coronarica uccide ogni anno nel mondo 7,2 milioni di persone e causa più di 10 milioni di infarti. Il trittico responsabile della malattia coronarica è, guarda caso, rappresentato da cattiva alimentazione, sedentarietà e fumo. Il rischio della malattia colpisce dal 30% al 50% in più i sedentari rispetto a chi fa anche una modesta attività fisica. C'è un dimostrato rapporto molto stretto che lega l'aumento o la diminuzione di attività fisica con l'incidenza della malattia coronarica (meno attività fisica fa aumentare il rischio e viceversa). Un rapporto ancora più stretto è stato rilevato tra fitness aerobica (stato di allenamento aerobico) e rischio di malattia coronarica. Qual
è il meccanismo di protezione dell'attività
fisica contro le
coronaropatie? 1. Miglioramento della perfusione del miocardio: aumenta la vascolarizzazione, il contenuto di glicogeno e la capacità glicolitica (quella di ottenere energia dagli zuccheri), indispensabile in caso di difficoltà di rifornimento di ossigeno (ipossia) 2. Miglioramento della capacità contrattile del cuore e della sua risposta ad un carico di lavoro 3. Azione anticoagulante che previene la formazione di trombi 4. Normalizzazione del profilo dei lipidi plasmatici (trigliceridi e colesterolo) 5. Riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa 6. Riduzione del grasso viscerale 7. Il cuore si allena a consumare meno ossigeno e ad utilizzare meglio le energie a disposizione 8. Si scaricano stress e tensioni Ictus Anche l'ictus fa parte della sordida famiglia delle malattie cardiovascolari e può essere di natura ischemica (ictus ischemico) se è causato dalla formazione di un trombo che ostruisce un vaso cerebrale. Presenta gli stessi fattori di rischio di una cardiopatia coronarica. Oppure emorragico (ictus emorragico) se si tratta della rottura di un vaso cerebrale. Uno dei suoi maggiori fattori di rischio è l'ipertensione. L'ictus è la terza causa di mortalità nel mondo e uccide 5,5 milioni di persone all'anno. Anche in questo caso l'inattività fisica è considerato uno dei fattori di rischio ictus. Nella fattispecie, uomini e donne inattivi fisicamente hanno un rischio maggiore del 15-30% di sviluppare la malattia rispetto a chi fa sport. La
sindrome metabolica La sindrome metabolica è un insieme di fattori di rischio che, sommati, hanno un impatto sulla salute peggiore dei singoli fattori presi uno per uno. Chi può essere definito portatore di sindrome metabolica? Chi presenta almeno tre o più di questi fattori:
La
sindrome è caratterizzata da
resistenza all'insulina, infatti viene altrimenti
detta sindrome da resistenza all'insulina.
La
sindrome metabolica è legata
anche a fattori genetici ancora sconosciuti, ma l'inattività
fisica è associata con un rischio elevato di svilupparla. Dunque
l'attività fisica è un motivo estremamente valido
per
prevenire o trattare la sindrome metabolica. Che
tipo di attività fisica? Sia l'attività
aerobica, ma anche i
pesi, come testimonia, per esempio, lo studio
condotto su 3233
soggetti tra i 20 e gli 80 anni e pubblicato su Med Sci Sports Exerc.
(2005
Nov;37(11):1849-55) oppure lo studio apparso su Appl Physiol Nutr Metab.
(2007
Feb;32(1):76-88), dove l'attività aerobica, ma, in assenza
di controindicazioni,
anche i pesi sono promossi per prevenire la sindrome metabolica e
migliorare la
salute in generale
Diabete
di tipo 2 Per
le sue pesanti ripercussioni
anche sul sistema cardiovascolare collochiamo questa malattia nella
sezione
"cuore". Il diabete di tipo 2 si sviluppa da adulti e parte da una
resistenza all'insulina, per finire con una insufficienza insulinica
per
esaurimento parziale o totale delle cellule β del pancreas.
Due sono gli
imputati nella genesi del diabete: fattori genetici
(ereditarietà) e fattori
ambientali. Tra i fattori ambientali
troviamo l'obesità, una dieta ricca di grassi saturi e,
sempre presente, la sedentarietà.
Studi prospettici hanno concluso che
l'inattività fisica aumenta dal 20
al 70% il rischio di sviluppare diabete di tipo 2. La relazione tra il rischio diabete e inattività fisica segue la modalità dose-risposta: più si è inattivi, maggiore è il rischio di svilupparlo, indipendentemente dai livelli di esercizio svolto. Le ore di inattività hanno rivelato il loro peso in uno studio su un gruppo di donne sane seguite per 6 anni: il rischio diabete aumentava del 14% per ogni 2 ore al giorno in più di fronte alla tv e del 7% per ogni 2 ore di lavoro da sedute. Purtroppo il diabete, silenziosa epidemia moderna, non genera solo patologie coronariche ed ictus, ma anche degenerazioni della retina, patologie renali, amputazioni di arti, problemi durante la gravidanza e malformazioni congenite. Queste complicanze uccidono circa 4 milioni di persone all'anno. Il diabete riduce, inoltre, le speranze di vita di 15 anni. GRASSO, MUSCOLI, SCHELETRO E COMPOSIZIONE CORPOREA Tra i 20 e i 30 anni forza e muscoli sono
al loro massimo sviluppo,
mentre il peso corporeo come valore assoluto aumenta tra i 25 e i 45
anni,
principalmente a causa della sedentarietà e di una
alimentazione scorretta.
Dopo i 45 anni il peso si stabilizza per 10-15 anni per poi cominciare
a calare,
malgrado un aumento della massa grassa, per le perdite di calcio dalle
ossa,
ma, soprattutto, per la perdita di massa muscolare. Con
l'età il grasso tende ad addensarsi in zona viscerale
a scapito
della zona sottocutanea il che espone la persona a maggiori rischi
cardiovascolari, essendo nota la pericolosità di questa
localizzazione del
grasso. La donna, protetta in
età
fertile dagli estrogeni e da una maggiore presenza di grasso
sottocutaneo
gluteo-femorale, già in periodo perimenopausale vede un
cambio di tendenza con
un viraggio androide della distribuzione del grasso (più
grasso viscerale, meno
sottocutaneo). Il che rende le donne altrettanto sensibili degli uomini
a
possibili incidenti cardiovascolari. La
tendenza ad ingrassare non è un fenomeno
tipicamente senile, ma parte già
all'età di 20 anni. Anche la
perdita di massa magra ha un incipit piuttosto precoce, a partire dai
30 anni,
se non prima. Il tasso di declino della massa magra non è
significativo fino a
45 anni, ma dopo questo abbrivio il processo avanza a lunghi passi: a
50 anni
molte persone hanno già perso circa il 50% della loro massa
muscolare e a 70
anni avranno perso circa il 70%. La perdita di forza segue quello della
massa
muscolare, magari in proporzioni anche maggiori. Tant'è che
se svitare il tappo
di un vasetto avvitato piuttosto duramente riesce facilmente al 92%
degli
uomini e delle donne tra i 40 e i 60 anni, dopo i 60 anni la
percentuale di
successo sale paurosamente finchè, tra i 71 e gli 80 anni,
solo il 32% riesce
ad aprire il vasetto. Questa sostanziosa perdita di massa, forza e
funzionalità
muscolare legata all'invecchiamento e all'inattività fisica
viene definita sarcopenia. Perché
si perdono muscoli con l'età? · Cala il tasso di sintesi proteica, cioè gli operai organici deputati al rimpiazzo delle proteine muscolari sono meno efficienti. Soggetti tra i 60 e gli 80 anni mostrano un tasso di sintesi proteica fino al 30% inferiore rispetto a soggetti ventenni. Il motivo è legato ad una drastica diminuzione di ormoni anabolici come l'ormone della crescita (GH) e del fattore di crescita insulino-simile-1 (Igf-1) · Una parte dei neuroni che innervano le fibre più grosse e più ricche di proteine, la FT (fast twich) muoiono. Se una fibra muscolare perde la sua innervazione è destinata all'oblio: prima si atrofizza e poi muore dopodiché viene assorbita dall'organismo. Fanno eccezione episodi di re-innervazione da parte di un motoneurone adiacente. Può succedere che un nervo si prenda cura delle fibre vicine che hanno perso l'innervazione sviluppando veri e propri germogli assonali. Questa forma di plasticità nervosa non riesce, comunque, a compensare le perdite. La perdita progressiva di fibre veloci (FT) fa aumentare la percentuale relativa delle fibre lente (ST). Per anni si è creduto che con l'invecchiamento le ST aumentassero di numero. Invece sono semplicemente le FT a diminuire. · Cala il livello di attività fisica e l'appetito. Questi fattori di natura ambientale costituiscono un'aggravante ai fattori di natura organica elencati sopra e legati all'invecchiamento.
SISTEMA
NERVOSO Nemmeno il sistema nervoso è immune all'età: con gli anni si perdono fino al 37% delle fibre nervose spinali e la velocità di conduzione dell'impulso nervoso si riduce fino al 10%. Praticamente cambia la capacità di rilevare uno stimolo e di trasformare l'informazione in una risposta. A parità di attività fisica giornaliera, il tempo di esecuzione di movimenti relativamente complessi è maggiore negli anziani rispetto ai giovani. Tuttavia, sempre a testimonianza del ruolo cruciale dell'attività fisica, un soggetto anziano che si è mantenuto sempre fisicamente attivo può avere tempi di reazione equivalenti a quelli di un ventenne fisicamente inattivo.
FUNZIONI
RESPIRATORIE Nei soggetti sedentari l'età segna l'inesorabile declino di alcuni importanti fattori che definiscono la funzione polmonare:
Questi due fattori diminuiscono linearmente dai 20-30 anni. Inoltre:
Se a 20 anni il volume residuo rappresenta il 18-22% della capacità polmonare totale, a 50 anni raggiunge e supera il valore del 30%. Incrementare il volume residuo significa avere meno aria per gli scambi respiratori, dato che il Vr è come aria morta. Il fumo rappresenta un'aggravante sulle dimensioni del Vr. Queste modificazioni sono soprattutto imputabili alla maggiore rigidità dei polmoni e della gabbia toracica legata l'età. Ciò mette a dura prova il lavoro dei muscoli respiratori, impegnati sempre di più a dilatare la gabbia toracica ad ogni atto respiratorio. Tra la mezza età e l'età avanzata, chi è allenato alla resistenza riduce questa perdita di elasticità a carico dei polmoni e della gabbia toracica. Inoltre gli anziani allenati registrano una minore riduzione della ventilazione polmonare e riescono a saturare quasi completamente l'emoglobina (97% di saturazione) sotto sforzo aerobico intenso. Proprio come gli atleti più giovani. Nonostante ciò gli atleti anziani registrano un calo del VO2 max (massimo consumo di ossigeno). Ma non per colpa delle modificazioni polmonari o delle capacità di trasporto di ossigeno da parte del sangue. La capacità di ventilazione polmonare degli atleti anziani è solo leggermente diminuita. Ciò che viene segnato dall'età è il trasporto di ossigeno ai muscoli a causa della diminuzione della frequenza cardiaca massima e del volume della gittata sistolica. Risultato? Diminuzione della massima portata cardiaca e dell'afflusso di sangue ai muscoli attivi. In aggiunta, la differenza a-vO2 massimale è inferiore negli anziani rispetto ai giovani, che significa ancora meno ossigeno assunto dai muscoli. SOVRAPPESO
E OBESITA' Il sovrappeso è notoriamente correlato ad un aumento di problemi di salute e, tanto più saranno i chili di troppo, soprattutto nella zona sterno-addominale, quanto minore sarà l'aspettativa di vita. Non a caso, una delle più semplici valutazione del rischio cardiovascolare di una persona viene effettuato misurando la circonferenza della vita (rischio elevato >102 cm negli uomini, >88 cm nelle donne) o col rapporto vita/fianchi (rischio elevato >0,95 nell'uomo; >0,8 nella donna). L'obesità, soprattutto viscerale, è correlata ad una maggiore incidenza di malattie cardiovascolari, diabete di tipo 2, tumori. Per non parlare dei problemi di natura ortopedica (dolori alle articolazioni per il sovrappeso cronico). Tutto questo si è tradotto, negli USA, in una spesa legata all'obesità del 7% sul totale della spesa sanitaria. La
sedentarietà fa la parte del
leone nello sviluppo dell'obesità, al punto che uno studio
prospettico su un
largo gruppo di donne ha mostrato come comportamenti sedentari, ad
esempio
guardare la televisione, fossero associati con un significativo aumento
del
rischio di obesità, indipendentemente dai livelli di
esercizio fisico.
L'inattività fisica è così nociva che
il rischio di morte legato a malattie
coronariche e diabete è maggiore nei soggetti obesi inattivi
o soggetti
fisicamente meno attivi che nei soggetti obesi, ma in buona condizione
fisica o
attivi fisicamente. Dunque se proprio non si vuole rinunciare ai
piaceri della
tavola, si può ridurre comunque il rischio di
mortalità precoce tramite il
movimento. Meglio grassi,
ma in forma (fat but fit) che
grassi e fuori forma (not fat, but unfit). L'ideale, sarebbe,
ovviamente,
essere magri e in forma (fit and not fat) MASSA
OSSEA, OSTEOPOROSI E RISCHIO DI FRATTURE Lo scheletro non è costituito da un tessuto inerte e impermeabile a cambiamenti come verrebbe da pensare. Anche le ossa subiscono dei continui rimodellamenti, sia nella geometria che nella densità, ma sono invisibili e impercettibili. Così, se il rimodellamento presenta un bilancio in deficit progressivo di calcio il problema verrà fuori ex-post, cioè a danno avvenuto, ad esempio al momento della frattura legata ad osteoporosi. L'osteoporosi rappresenta una perdita di massa ossea e un deterioramento della microarchitettura del tessuto osseo. La perdita di calcio dalle ossa è un fatto fisiologico e colpisce più le donne degli uomini. Nelle donne la perdita di calcio inizia a 35 anni nella misura dello 0,8% all'anno; nell'uomo questa perdita inizia a 50 anni ed è la metà della donna. Si parla di osteoporosi quando, all'esame della MOC (Mineralometria Ossea Computerizzata), viene diagnosticata una BMD (densità minerale ossea) inferiore di almeno 2,5 deviazioni standard (DS) a quella media di una giovane donna adulta. Lo scheletro della donna è protetto dalla perdita di calcio grazie alla presenza di estrogeni. La menopausa e la drammatica riduzione di estrogeni comporta un minor assorbimento di calcio a livello intestinale e una minor produzione di calcitonina (ormone che contrasta la perdita di calcio dalle ossa). Le perdite di calcio superano abbondantemente le deposizioni sulle ossa e la demineralizzazione dello scheletro femminile procede ad una velocità del 3-6% all'anno nei primi cinque anni successivi alla menopausa, per poi stabilizzarsi attorno all'1% all'anno. Di questo passo, a 70 anni una donna può aver già perso il 30% della propria massa ossea. Questo indebolimento significativo delle ossa le espone facilmente a fratture. Anche qua l'attività fisica gioca un ruolo cruciale e si lega a doppio filo alla prevenzione delle fratture in presenza di osteoporosi. In primo luogo perché l'attività fisica aiuta a contenere la perdita di calcio secondo un principio di risposta localizzata allo stress muscolare: si rinforzano solo le ossa legate ai muscoli sollecitati. La contrazione muscolare è un fattore di stimolo della mineralizzazione ossea, anche se con un effetto più o meno pronunciato in base all'età. L'impatto dell'attività fisica sulle ossa degli adulti non è così significativa come nei soggetti in crescita, tuttavia quell'1% in meno di decalcificazione annua garantito dall'attività fisica risulta estremamente importante nel ridurre i rischi di fratture. Nelle donne, in particolare, l'esercizio fisico in periodo pre-menopausale può mantenere o aumentare leggermente la massa ossea, mentre nel periodo peri-menopausale e post-menopausale lo sport serve soprattutto a contenere o a mantenere le perdite di calcio. In secondo luogo, l'attività fisica riduce il principale fattore di frattura di ossa osteoporotiche: le cadute. Soggetti fisicamente attivi hanno un rischio di fratture del femore del 20-40% fino al 55% in meno rispetto a soggetti inattivi. Cioè, l'osteoporosi è un fattore predisponente, ma le cause scatenanti sono, soprattutto, le cadute. Nelle donne anziane solo il 28% delle fratture del femore sono spontanee legate direttamente all'osteoporosi. Il resto del rischio è riconducibile ad altri fattori, in particolare alle cadute. Mantenersi attivi e forti è l'unico antidoto alle cadute e un valido aiuto per invertire/mantenere/contenere la decalcificazione. Come
agisce lo sport sulle ossa? Lo sport sollecita le ossa attraverso due forze che stimolano la deposizione di calcio su di esse:
L'effetto dell'attività fisica sulle ossa è localizzato: solo l'osso corrispondente al segmento corporeo sollecitato da una o da entrambe queste forze godrà del beneficio (bonus di calcio). Ecco che atleti di corsa avranno una maggiore densità ossea sulle gambe e sulla colonna vertebrale, piuttosto che sulle braccia, il tennista o il lanciatore di baseball avranno le ossa del braccio dominante (quello che impugna la racchetta/lancia la palla) più dense e il body builder avrà tutte le ossa del corpo più forti. Perché lo sport rafforza le ossa? Già nel 1999 una review pubblicata su Med Sci Sports Exerc. (1999 Jan;31(1):25-30) ci diceva come parecchi studi longitudinali dei 10 anni precedenti avessero trovato una relazione positiva e diretta tra l'allenamento con i pesi e la densità ossea. Pare che l'osso si comporti alla stregua di un cristallo pizoelettrico: converte energia meccanica in energia elettrica la quale stimola gli operai addetti alla deposizione di calcio sulle ossa, gli osteoblasti. Questa processo dipende strettamente dall'intensità del carico meccanico applicato all'osso e dalla frequenza dell'applicazione L'attività fisica aumenta la solidità delle ossa in entrambi i sessi. Con dei distinguo tra uomo e donna e tra sport e sport. Nella donna, al contrario dell'uomo, la risposta all'allenamento con carichi elevati è molto inferiore ed è differente in funzione del suo stato pre o post menopausale: in entrambi i casi il confronto tra gruppi sportivi e di controllo ha mostrato una differenza al massimo del 2% (Bosco). Quanto al tipo di sport, sarà più efficace quello che garantirà maggiore sollecitazioni in termini di impatti gravitazionali (salti, corsa) e forze di torsione date dalle contrazioni muscolari. In questo contesto, in termini di prevenzione e trattamento dell'osteoporosi sarà molto meno efficace il nuoto (manca l'impatto della gravità sulle ossa) rispetto ai pesi o alla corsa. TUMORI Sono responsabili, ogni anno, di 7,1 milioni di morti. Tolti i fattori genetici, tra i singoli fattori responsabili del tumore troviamo il tabacco, ma anche una cattiva alimentazione la mancanza di attività fisica e l'obesità (il grasso produce sostanze nemiche della salute come il TNF, o fattore di necrosi tumorale il cui nome è tutto un programma). Vi sono prove convincenti che la sedentarietà si associ ad un aumento del 30-40% di sviluppare un tumore al colon. Studi correlano in maniera sufficientemente plausibile la sedentarietà con un aumento del 20-30% di tumori al seno nelle donne in età premestruale e postmestruale. Più limitate le prove che correlano l'inattività fisica ad un maggior rischio di tumori endometriali e alla prostata. Il legame tra tumore e inattività fisica pare (ma è ancora un'ipotesi) dipenda da un quadro che affligge tipicamente il sedentario :
L'attività
fisica: gli effetti
anti-invecchiamento su
organi, tessuti e funzioni Innanzitutto
sfatiamo il
mito che allenarsi in età adulta o
in età avanzata dia risultati modesti e chiediamoci:l'età pregiudica i miglioramenti
nell'allenamento? No. Se
lo stimolo
allenante è abbastanza intenso, le fibre muscolari di
soggetti anziani di ambo
i sessi rispondono all'allenamento sia di forza che di resistenza,
esattamente
come i giovani, relativamente a:
Questi adattamenti sono più evidenti se il carico allenante è relativamente elevato e se il carico stesso viene modulato in rapporto ai miglioramenti indotti dall'allenamento. Infine, un anziano sano non subisce delle modificazioni funzionali o ormonali tali da pregiudicare una pratica regolare e costante di attività fisica. Anzi, chi ha fatto sport ad alta intensità da giovane e poi ha smesso non ha maggiori aspettative di vita perché quegli "interessi" maturati da giovani si bruciano alla svelta. Perché l'attività fisica ci protegga dalle malattie e ci allunghi la vita deve essere fatta per sempre. I PESI Ben poco l'attività aerobica, molto hanno fatto i pesi che hanno incrementato forza e sezione muscolare anche in soggetti molto anziani. Un gruppo di persone tra i 60 e i 72 anni è stata allenata per 12 settimane attraverso esercizi di potenziamento muscolare con carichi pari all'80% della forza massima. Risultato: +107% della forza dei flessori del ginocchio e +227% della forza degli estensori. L'aumento di forza era accompagnato da un marcato aumento della massa muscolare. Un altro gruppo di settantenni che si sono allenati costantemente dall'età di 50 anni, hanno dimostrato di possedere una sezione dei muscoli pari ad un gruppo di controllo di soggetti di 28 anni. La forza di estensione del ginocchio in uomini e donne normalmente attivi cala rapidamente dopo i 40 anni. Ma allenando questi stessi muscoli dei sessantenni hanno realizzato prestazioni migliori della maggior parte di trentenni normalmente attivi. Dunque l'anzianità non è più un alibi, visti anche gli straordinari risultati che l'allenamento muscolare di persone anziane e molto anziane: aumento del 10% della massa muscolare e di oltre il 100% della forza. Il che pone l'anziano al riparo soprattutto dai danni collaterali di una mancanza di forza: le cadute e la mancanza di autosufficienza. Inoltre,
già
dal 1998 (Med
Sci Sports
Exerc. 1998
Oct; 30(10
Suppl):S396-402.) l'allenamento
con sovraccarichi dava risultati incoraggianti su una migliore
tolleranza al
glucosio e all'insulina. Concetto ribadito anni dopo dalla
pubblicazione su
Sports Medicine (2000,
Nov;30(5):327-46) Come
già visto, i pesi si sono dimostrati
efficaci nel contrastare a perdita di calcio dalle ossa (più
negli uomini) e
nel prevenire quella massiccia e progressiva perdita di massa muscolare
chiamata sarcopenia (Can J Appl Physiol.
2001 Feb;26(1):123-41). L'allenamento
della forza ha dimostrato successo anche nell'abbassare
i trigliceridi, come dimostra una review pubblicata Sports
Med. (2011
Apr 1;41(4):289-306). Nella stessa review si aggiunge all'allenamento
della
forza il merito di attenuare o,
addirittura, invertire, certi sintomi tipici della fibromialgia e
dell'artrite
reumatoide: dolore, infiammazione, debolezza muscolare e
stato di fatica. L'allenamento
con i pesi è un antidoto contro
la patologica perdita di massa muscolare legata all'età e
all'inattività, la sarcopenia.
In tal senso non è
altrettanto efficace l'allenamento aerobico (review-Curr
Sports Med Rep. 2010
Jul-Aug;9(4):208-13) I pesi
nella riabilitazione delle malattie cardiache L'uso dei sovraccarichi è stato riabilitato nell'ambito di quelle patologie per anni considerate incompatibili con esse. Un'articolo
apparso su Circulation (2007
Jul 31;116(5):572-84. Epub 2007 Jul 16.) descrive i benefici dei
pesi in termini di guadagno di forza, funzionalità e
indipendenza in soggetti
con e senza senza malattie cardiache. In
caso di patologia, ovviamente si richiede che l'attività
fisica venga
sottoposta a supervisione medica. Una
review apparsa su una rivista
cardiologica europea (Eur
J Cardiovasc Prec. Rehabil.,
2004; 11 (4) :352-61.) ribadisce l'uso dei pesi nella
riabilitazione di pazienti con malattia coronarica (Coronary Artery
Desease = CAD),
ma con l'accortezza di selezionare quelli con una moderata-buona
funzione
ventricolare sinistra, buona capacità di performance
cardiaca, niente sintomi
anginosi sotto sforzo. L'aggiunta dei pesi (oltre al lavoro aerobico)
nella
riabilitazione cardiovascolare, dichiarano i ricercatori, aumenta forza
ed
endurance muscolare, diminuiscono i fattori di rischio cardiovascolare,
migliorano il metabolismo, la funzione del sistema cardiovascolare, il
benessere psicosociale e la qualità della vita. Il tutto
sempre sotto stretta
osservazione medica. Un'altra
review pubblicata da Sports Medicine
(2005;35(12):1085-103.)
definisce anche i
confini dell'intensità di lavoro con i pesi nei soggetti
affetti da
insufficienza cardiaca cronica: ·
50-60%
di 1RM ·
<
60 secondi
per set ·
rapporto lavoro-recupero di
1:2 ·
I
pazienti con
una riserva cardiaca bassa possono utilizzare piccoli pesi liberi (0,5,
1 o 3
kg), fasce elastiche con 8-10 ripetizioni, oppure possono eseguire
esercizi di
resistenza in modo segmentale
Sulla base di recenti
evidenze
scientifiche, concludono i
ricercatori, l'applicazione di programmi
specifici con esercizi di resistenza è sicura e induce
significativi
adattamenti istochimici, adattamenti metabolici e funzionali nei
muscoli
scheletrici, utili al trattamento di debolezza muscolare e miopatia
tipico
della maggior parte dei pazienti con insufficienza cardiaca cronica
(chronic
heart failure = CHF). Il programma con sovraccarichi, prescritto dal
cardiologo, non si pone come alternativo, ma come complementare agli
esercizi
aerobici.
Una recente review (Scand
J Med Sci Sports. 2010 Aug;20(4):545-55. Epub
2010 May 12) ha concluso quanto sia importante
l'inizio precoce dell'allenamento aerobico dall'attacco cardiaco in
pazienti
affetti da malattie coronariche. La rapidità dell'inizio del
trattamento
permette ai pazienti di migliorare più efficacemente il VO2
max LINEE
GUIDA SULL'ALLENAMENTO CON I PESI PER ADULTI E SANI ACSM (AMERICAN COLLEGE
OF SPORTS MEDICINE) Med
Sci Sports Exerc. 2009
Mar;41(3):687-708. Sviluppo della forza
Massa
muscolare · I criteri di selezione degli esercizi e della frequenza sono simili a quelli descritti sopra · Carichi compresi tra 1-12 ripetizioni massimali con enfasi sui periodi dedicati alla massa muscolare: 6-12 ripetizioni con 1-2 minuti di recupero tra i set svolti a velocità moderata · L'ACSM consiglia di mantenere il volume di lavoro alto e allenamenti di set multipli per massimizzare il guadagno di massa muscolare Potenza
muscolare Gli allenamenti di potenza implicano, dice l'ACSM, due strategie generali che si devono alternare in una periodizzazione: 1. Allenamento della forza (carichi elevati) 2. Carichi leggeri (0-60% di 1 RM-ripetizione massimale- per la parte bassa del corpo; 30-60% di 1 RM per la parte alta) e movimenti veloci con 3-5 minuti di recupero tra i set (da 3-5 set per esercizio) 3. Si raccomanda il ricorso soprattutto ad esercizi poliarticolari in particolare quelli che coinvolgono tutto il corpo (tipo strappo, slancio)
Resistenza muscolare localizzata · Carichi da leggeri a moderati (40-60% di una RM) · > 15 ripetizioni · Recupero: <90 sec. Queste linee guida, sottolinea l'ACSM, sono generiche e vanno contestualizzate in rapporto ad obiettivi, capacità e stato di allenamento del soggetto. Nota: quanto all'allenamento per la massa muscolare (ipertrofia), due review pubblicate su Sports Med. (2009;39(9):765-77) e sul J Strength Cond Res. (2006 Nov;20(4):978-84) hanno dettato tempi di recupero stretti per chi vuole crescere muscolarmente: carichi moderati abbinati a recuperi di 30-60 secondi al massimo promuovono una secrezione acuta molto elevata di ormone della crescita. Concetto già espresso da Bosco anni prima. L'ATTIVITA'
AEROBICA L'allenamento aerobico è un potente antidoto al declino delle funzioni cardiovascolari. E la risposta all'allenamento negli anziani è del tutto sovrapponibile a quella dei giovani, come è già stato evidenziato. Anziani allenati per 9-12 mesi alla resistenza aerobica hanno mostrato un aumento del massimo consumo di ossigeno (VO2 max) del 19% nei maschi e del 22% nelle femmine. Dati paragonabili a quelli di giovani adulti. I miglioramenti negli anziani sani allenati alla resistenza abbracciano due aspetti, in particolare:
Questi miglioramenti hanno mostrato modalità diverse tra maschi e femmine, nel senso che i primi hanno aumentato la loro capacità aerobica migliorando sia la gittata sistolica che la differenza artero-venosa in ossigeno, mentre le seconde hanno migliorato solo la differenza artero-venosa in ossigeno. Per gli anziani maschi l'allenamento ha dato benefici in senso sia centrale che periferico, nelle donne anziane solo in termini periferici. Si pensa che il mancato adattamento centrale nelle donne post-menopausali sia legato ad una variazione dell'assetto ormonale. Testimone dei benefici dell'attività aerobica sul rallentamento dell'invecchiamento del cuore è il caso del corridore greco Christos Vartzakis, monitorato durante tutta la sua carriera sportiva, dai 36 ai 79 anni. In 43 anni la sua velocità nella maratona è calata del 30% (da 13,9 km/h a 36 anni, fino a 9,73 km/h a 79 anni). Nonostante l'inevitabile declino, a 72 anni il suo tempo nella maratona (3 h,56 min) era migliore della prestazione media ottenuta nei campionati master dove gli atleti avevano circa 40 anni di meno. Agli inizi del nuovo secolo il record nella maratona di un uomo di 86 anni era 5 h e 40 min, pari ad una velocità media di 7,4 km/h. Quello di una donna di 80 anni era di 5 h e 28 min, pari ad una media di 7,7 km/h. Niente male vista l'età. Quali
benefici apporta l'attività aerobica?
*
Differenza
artero-venosa in ossigeno:
rappresenta
la quantità di ossigeno che le cellule
riescono ad estrarre dal circolo sanguigno durante
il
passaggio del
sangue nei capillari.
Praticamente, in 100
ml di sangue arterioso sono sciolti 20 ml di O2,
in
quello
venoso 15. Vale a dire che (in un soggetto a riposo) i tessuti si sono
presi 5
ml di O2.
Dunque
la differenza artero-venosa è di 5 ml. In
condizioni di sforzo aerobico elevato e in soggetti allenati questa
differenza
sale anche a 17 ml. La differenza artero-venosa, insieme alla gittata
sistolica, condizionano l'espressione del massimo consumo di ossigeno
che,
sotto sforzo, aumenta anche di 10 volte. La sola gittata sistolica non
può
essere responsabile unica di questa impennata nel consumo di ossigeno
dato che,
sotto sforzo, essa aumenta "solo" di 4-5 volte SPORT: A
CHE DOSI? Quanta attività è sufficiente
per la salute? E' oramai chiara la correlazione tra attività fisica e diminuzione della mortalità. Fin qua è abbastanza semplice. Più difficile stabilire a quali dosi l'attività fisica fa bene alla salute. Nel 1957 Karvonen, autore della celebre formula, cerca di quantificare una soglia minima perché l'esercizio sia utile a migliorare l'efficienza fisica: non meno del 60% dell'HHR, cioè la riserva di frequenza cardiaca. Tradotto, corrisponde a circa il 75% della massima frequenza cardiaca. Non poco, vista la correlazione tra HRR e frequenza cardiaca massima. Ma l'obiettivo era l'efficienza fisica che, come vedremo, è correlata alla salute. Ma non necessariamente. Adesso siamo interessati all'attività fisica correlata alla salute (physical activity) e alla diminuzione dei fattori di rischio di malattie da sedentarietà (ipocinesi, per usare un termine tecnico) e non all'efficienza fisica (physical fitness) come miglioramento della prestazione sportiva. La physical fitness richiede un'attività sportiva di grande impegno, mentre per ottenere i primi benefici per la salute non è necessario potenziare la physical fitness. Poi vedremo che anche potenziare l'efficienza fisica aiuta. Ora che abbiamo chiarito questo nodo, procediamo con la prolusione storica... Sempre negli anni '50 del secolo scorso, Morris e collaboratori pubblicarono gli studi già citati sui conducenti di bus, controllori, postini e impiegati d'ufficio e misero in luce la minore mortalità e morbilità (frequenza percentuale di una malattia in una comunità) a carico delle categorie di lavoratori fisicamente più attive (controllori meno esposti per mortalità rispetto ai conducenti di bus, per esempio). Tuttavia gli studi, se da una parte dimostravano la correlazione tra inattività, morbilità e mortalità, non quantificavano ancora l'intensità dell'attività fisica necessaria ad esercitare questa azione protettiva. Per avere uno studio tra i più rappresentativi bisogna attendere il 1987 con la pubblicazione del MRFIT: The Multiple Risk Factor Intervention Trial (Leon et al.). Lo studio coinvolse 12.866 soggetti tra i 35 e i 57 anni, seguiti in media per sette anni. L'unico limite fu il metodo della raccolta dei dati attraverso un questionario nel quale si facevano domande circa la frequenza e la durata della loro partecipazione a 62 attività fisiche individuali ogni mese, per un anno intero. Vennero creati 3 gruppi in rapporto al tempo speso e alle calorie spese in attività ricreative:
I maggiori benefici sulla salute furono a carico dei gruppi 1 e 2. Nel passaggio dal gruppi 1 al gruppo 2 si registrava una diminuzione del 27% dei fattori di rischio mortalità, mentre la statistica non mostrava sostanziali differenze tra i gruppi 2 e 3 (il gruppo più attivo). Il livello di attività del gruppo 2 era considerato leggero-moderato. Finora la scienza dimostra una ridotta mortalità associata anche a moderata attività fisica, senza che questa migliori l'efficienza fisica. L'Aerobic Center Longitudinal Study, lo studio longitudinale del Centro Cooper per le ricerche aerobiche (Blair et al., 1989) è andato oltre, spiegandoci che non solo è importante fare movimento, ma farlo anche in modo vigoroso. Nella ricerca furono coinvolti 10.244 uomini e 3.210 donne tra i 20 e i 60 anni. Ogni anno queste persone facevano una visita medica che comprendeva anche un test al tappeto. Si crearono 5 gruppi sulla base della loro efficienza aerobica: nel primo gruppo i più scarsi, nel quinto gruppo quelli dotati di maggiore resistenza aerobica. Le persone in esame vennero seguite per 8 anni. Risultato: già una moderata attività fisica (physical activity) promuoveva la salute, mentre uno scarso livello di efficienza cardiovascolare (physical fitness) era un fattore di rischio predisponente per problemi cardiovascolari, cancro e per tutte le altre cause di mortalità. Inoltre i rischi di mortalità per tutte le cause aumentavano col diminuire dell'efficienza fisica. Queste conclusioni furono suffragate da un altro importante studio successivo di Myers e collaboratori, nel 2002. Per oltre sei anni sono state seguite 6.213 persone di sesso maschile sottoposti ad un test massimale del VO2 max. Gli studiosi ribadirono che la capacità aerobica è il più potente predittore di mortalità tra i fattori di rischio stabiliti. Nel 1986, con l'Harvard Health Study, Paffenbarger e colleghi cercarono di quantificare quanti anni di vita si potessero guadagnare rimanendo fisicamente attivi. La valutazione, fatta solo su maschi, non fu diretta (misurando il VO2 max), ma chiedendo, in un questionario, quante rampe di scale salissero ogni giorno, per quanti isolati camminassero quotidianamente, il tipo di sport e le attività ricreative a cui partecipavano ed il tempo dedicato a tali attività. Tutti svolgevano attività lavorative sedentarie. Le spese caloriche per attività vennero
standardizzate:
Gli sport ed attività ricreative furono
classificate in:
Vennero
sommate le calorie spese
in tutte queste attività per ricavarne un indice di
dispendio energetico
settimanale. Anche in questo caso la conclusione era perentoria: la mortalità diminuiva con l'aumento
dell'attività fisica. Chi spendeva almeno 3500cal a settimana (6-8 ore di attività fisica impegnativa) aveva un tasso di mortalità dimezzato (0,46) rispetto a coloro che consumavano meno di 500 cal a settimana.
Gli autori assegnarono al valore di 1000 cal/settimana un buon traguardo per avere benefici per la salute. Spendere 2000 cal/settimana era considerato ottimale. I soggetti fisicamente attivi vivevano in media 1-2
anni in più dei
sedentari. Se la spesa energetica superava le 3500 cal non
c'era più alcun
vantaggio, mentre se l'attività
fisica
comportava un impegno estremo, l'incidenza di morte era superiore
rispetto ad
un impegno moderato. In uno studio di coorte prospettica pubblicato su JAMA sempre da Paffenbarger venne seguito longitudinalmente fino al 1988 un gruppo di uomini entrati ad Harvard tra il 1962 e il 1966. Dai risultati emerse che solo le attività di intensità medio-elevata si associavano a maggiore longevità. Chi consumava 1500 cal/settimana in attività di questa intensità (circa 6 MET) per 45-60 minuti a seduta, per 3-4 volte a settimana avevano un rischio di morte inferiore del 25% rispetto ai sedentari. Come già sottolineato, i benefici
dell'attività fisica toccano anche i
soggetti fumatori o in sovrappeso Fare
tanto sport una volta ogni tanto fa male. Perché? L'allenamento costante produce effetti benefici su due piani: quello macroscopico negli adattamenti dei sistemi cardiovascolare, respiratorio e muscolare; e quello microscopico, in quanto l'organismo diventa sempre più efficiente nell'affrontare con successo i prodotti metabolici dannosi frutto di un allenamento intenso come le citochine infiammatorie e i famigerati radicali liberi o specie reattive dell'ossigeno (ROS). Consideriamo l'organismo sottoposto a stress da allenamento come una diga. Se lo stress è somministrato con costanza settimanale, l'adozione di carichi progressivi e senza sbalzi produce una quantità di acqua (metaboliti tossici) che resta comunque sotto la cima del muro di sbarramento (i sistemi immunitario e ormonale addetti alla difesa dagli aggressori cellulari prodotti sotto stress fisico e alla riparazione dei danni indotti dall'allenamento). Il muro aumenta la sua altezza e spessore di pari passo con gli allenamenti. Ma se lo stress da allenamento è somministrato saltuariamente e ad alte dosi in soggetti già poco allenati si producono danni strutturali alle fibre muscolari molto più profondi dei soggetti allenati, dando origine a eccessive risposte infiammatorie con elevata produzione di radicali liberi e di citochine nemiche. Il fiume di sostanze infiammatorie diventa troppo imponente per essere gestito con successo. Il livello dell'acqua si alza sopra il livello di guardia. Le pareti della diga non riescono ad adeguarsi e l'acqua tracima producendo, a lungo andare, seri danni per il territorio/organismo. Costo
metabolico in MET di alcune attività sportive
Tratto da: "Fitness, la guida completa" Edizioni Club Leonardo, 2004 Williams,
nel 2001 rispondeva
alla domanda: meglio fisicamente attivi o
fisicamente in forma? Le
persone che facevano tanta attività fisica, ma moderata
(physically active),
potevano aspettarsi una riduzione dei fattori di rischio intorno al
30%, ma chi
possedeva alti livelli di capacità aerobica (physically fit)
mostrava una
riduzione doppia degli stessi fattori (Med
Sci Sports Exerc. 2001 May;33(5):754-61.).
(Med
Sci Sports Exerc. 2001 May;33(5):754-61.)
I
benefici maggiori per la salute sono appannaggio soprattutto dei
sedentari che passano da niente ad un moderato livello di
attività fisica. Chi
è già allenato deve lavorare molto di
più per ottenere benefici per la salute. Degli studi hanno valutato direttamente le capacità fisiche senza dedurle sulla base di questionari. Sono state fatte le debite correzioni su fattori confondenti come il fumo, il colesterolo, la glicemia, la pressione arteriosa e la familiarità per la malattia cardiaca. La mortalità del gruppo dei soggetti fuori forma è risultato di 3 volte superiore rispetto ai soggetti fisicamente più attivi, ma di poco rispetto ai sedentari. Cosa segnava la differenza tra i sedentari e i poco più attivi? 30 minuti al giorno di attività fisica relativamente intensa più volte a settimana (JAMA, 1989). Già questo minimo di attività fisica è sufficiente a ridurre il rischio di mortalità. La correlazione tra aumento dell'attività fisica e della capacità aerobica è stato confermato da uno studio finlandese: 2 h alla settimana di marcia, corsa, sci di fondo o ginnastica in maschi con un VO2 max di 34 ml/kg/min (un valore relativamente basso) comporta un rischio di infarto del 60% inferiore rispetto a soggetti meno attivi e meno prestanti. Uno studio condotto su 17.000 allievi di Harvard entrati all'università tra il 1916 e il 1950 dimostra che un'attività fisica regolare e di medio impegno, come camminare o correre a bassa velocità per 5 km, è sufficiente per proteggere la salute e garantire una certa longevità. Addirittura, la regolare attività fisica può contrastare l'effetto del fumo da sigaretta e il sovrappeso, riconosciuti nemici di una vita lunga e sana. Essere ipertesi, ma praticanti sport, riduce la mortalità del 50%. L'attività fisica riduce anche la tendenza alla morte precoce su base familiare: chi ha genitori morti entrambi prima dei 65 anni, può ridurre questa infausto destino ereditario del 25% con l'attività fisica. Attenzione, attività fisica e rischio di morte sono anche dose-dipendenti: maschi che coprono 14,4 km alla settimana hanno un rischio di morte inferiore del 20% rispetto ai maschi che ne percorrono solo 5. In ogni caso, non è necessario migliorare il proprio VO2 max, cioè la propria efficienza cardiovascolare, per ricavare benefici salutari dall'attività fisica. Dunque la buona notizia per i più pigri è che non bisogna fare sport ad alta intensità (anche se auspicabile, secondo il concetto dose-risposta) per assicurare la salute. Così si promuove il "fitness metabolico", cioè si riducono i rischi di diabete e malattie cardiovascolari senza dover migliorare la "physical fitness", cioè il consumo di O2 e l'efficienza dell'apparato cardiovascolare, la forza muscolare, la capacità di endurance e la flessibilità dei maggiori gruppi muscolari. Concetto
di "media intensità"o "intensità
moderata". Abbiamo detto che un'attività che sia almeno di media intensità può dare benefici alla salute. Il concetto di "media intensità", nell'attività fisica, è quanto di più variabile possa esistere. Ciò che per un allenato è un ritmo da diporto, per un principiante può rappresentare un impegno estremo. In generale, l'ACSM, riconosce potenziali benefici per la salute un'attività fisica pari al 55-64% della massima frequenza cardiaca, oppure un consumo calorico legato allo sport compreso tra le 700 e le 2000 calorie a settimana. Un
altro discrimine per definire
il livello di intensità è legato ai MET. Su
questa base si definisce
"moderata" un'attività fisica che richiede un dispendio
energetico
tra i 3 e i 6 MET. Un'attività fisica che richiede
più di 6 MET è considerata
vigorosa. Questa classifica non è assoluta, ma si basa sulla
constatazione che
una persona media presenta un
VO2 max di 35
ml/O2/kg/min
( = 10 MET). Una percentuale di lavoro
del 60%, corrispondente a 6 MET, è considerata il limite tra
attività moderata
e vigorosa. Allenarsi a 6 MET, per una persona media,
garantirebbe un
miglioramento del VO2
max. Detto questo, è
sempre necessario contestualizzare la somministrazione
dell'attività fisica in
base all'età e alle condizioni fisiche di una persona. Per
molti anziani, 6 MET
è un'intensità impraticabile, per esempio.
Numerosi studi indicano che in
soggetti con un basso livello di VO2
max è
possibile aumentare il massimo consumo di ossigeno con
un'attività di moderata
intensità. Fatte salve le
differenze
individuali, in media, la linea di
demarcazione tra attività moderata e vigorosa resta sempre
il 60% del VO2 max. LINEE
GUIDA QUANTITA'
E QUALITA' DEL MOVIMENTO PER SVILUPPARE E MANTENERE IL
FITNESS CARDIORESPIRATORIO, MUSCOLOSCHELETRICO E NEUROMOTORIO IN ADULTI
E SANI ACSM (AMERICAN COLLEGE
OF SPORTS MEDICINE) 2011 (Med Sci Sports Exerc. 2011
Jul;43(7):1334-59.)
Nelle linee guida per migliorare l'efficienza fisica del 2000-2006 (Guidelines for Exercise Testing and Prescription) l'ACSM raccomandava un'intensità degli esercizi tra il 55-65% e il 90% della massima frequenza cardiaca. Il limite più basso è raccomandato alle persone sedentarie e fisicamente inefficienti. Tale limite si sposta sempre più in alto man mano che la persona si presenta più in forma.
BAMBINI E
RAGAZZI IN ETA' SCOLARE La situazione Le linee guida Gli studi e le analisi statistiche che hanno denunciato la progressiva diminuzione dell'attività fisica nei bambini e negli adolescenti in queste ultime decadi sono numerosi. Purtroppo questa situazione porta con sé un inevitabile sovrappeso e problemi di salute che esplodono in età adulta, ma danno i primi sintomi in tenera età. Tant'è che negli adolescenti che passano più di cinque ore al giorno davanti al televisore la probabilità di diventare obesi sarebbero circa tre volte maggiori di quella dei loro coetanei che ne passano solo tre (Gortmaker, 1996)
LINEE
GUIDA LA
PIRAMIDE MOTORIA DEI BAMBINI PER LA SALUTE
Tratto
da SdS n.72, 2007 In
alternativa ci sono le raccomandazioni dell'American Heart
Association
ALLENAMENTO
AEROBICO: QUALE METODO SCEGLIERE Ora che ci siamo occupati delle varie correlazioni tra attività fisica e salute, cerchiamo di sciogliere altri annosi dilemmi:
Chi
si allena alla resistenza per
agonismo, per diporto o per dimagrire si trova di fronte al bivio: meglio allenarsi ad andatura costante o
alternare picchi di lavoro intenso a fasi di recupero? Prima di verificare lo stato delle ricerche in proposito, definiamo con precisione le due differenze di metodo. Allenamento
aerobico a carico costante (CON)
Svolto ad intensità sub massimale per almeno 30 minuti con un consumo di ossigeno costante (steady state). Quando si comincia un esercizio aerobico, all'inizio la frequenza cardiaca cresce rapidamente e poi continua ad aumentare lentamente in un tempo tra i 3 e i 5 minuti, anche se il carico di lavoro è costante. A questo punto la frequenza cardiaca e il consumo d'ossigeno rimangono costanti durante il resto dell'esercizio. La concentrazione di lattato non si discosta da quella basale. In genere, siamo in una zona di lavoro corrispondente al 50-60% circa del VO2 max (65-72% della massima frequenza cardiaca). I sedentari dovrebbero lavorare a carico costante attorno al 50% del VO2 max Interval
training ad alta intensità (IT) Caratterizzato da ripetute ad un'intensità corrispondente o superiore alla soglia anaerobica e che possono durare da pochi secondi a diversi minuti. Durante le ripetute c'è un accumulo significativo di lattato che verrà solo parzialmente smaltito durante le fasi di recupero attivo a bassa intensità o passivo della durata di pochi minuti. Entrambi
i metodi migliorano la performance aerobica, cioè la
resistenza Come? Gli
effetti dell' allenamento aerobico a carico costante (CON)
Tratto da: SdS n. 89 Gli
effetti dell' allenamento IT ad alta intensità
Tratto da: SdS n. 89 Cosa
accomuna IT e CON?
PGC-1α, fattore di trascrizione che: a) regola l'aumento del numero e delle dimensioni dei mitocondri b) migliora la capacità di consumare grassi a livello mitocondriale c) migliora la capacità di trasporto del glucosio nelle cellule muscolari IT vs CON negli atleti di alto livello Prima gli atleti di endurance praticavano quasi esclusivamente l'allenamento CON, dedicando all'IT solo il periodo a ridosso della gara. Si è scoperto, però, che un atleta di alto livello, con un VO2 max uguale o maggiore di 60 ml/kg/min non possa aumentare la sua resistenza solo attraverso il CON, ma introducendo l'IT ad alta intensità. L'allenamento IT, aggiunto al classico CON, ha aumentato del 3% le prestazioni di atleti mezzofondisti di alto livello sia nei 3000 mt che nei 10.000 mt. Nei ciclisti d'elite il miglioramento è stato del 4,5%.
Come agirebbe l'IT negli atleti d'elite?
1. migliorando la capacità dei muscoli di produrre e utilizzare ATP 2. migliorando la termoregolazione 3. agendo su fattori psicologici (tolleranza alla fatica)
I punti contro 1. non migliora il massimo consumo di ossigeno 2. non migliora l'economia del gesto Vantaggi dell'uso degli allenamenti IT e
CON negli atleti d'elite · L'allenamento IT è l'unico in grado di migliorare la performance a certi livelli · L'allenamento CON è più utile a creare una solida base di resistenza · L'allenamento CON serve ad accelerare i processi di recupero tra le sedute e favorire gli adattamenti indotti dall'IT
L'allenamento IT nei sedentari Chiusa la breve parentesi sulla popolazione di nicchia degli atleti di alto livello (comunque doverosa, vista l'affinità di tanti lettori col mondo dell'agonismo), torniamo tra la vasta popolazione dei sedentari, alle prese con problemi di tempo, di motivazione e di tolleranza alla fatica dell'allenamento. Il vantaggio di un allenamento IT è
evidente nelle cifre: L'allenamento IT ha un volume di esercizi del 90% inferiore rispetto all'allenamento CON, mentre riduce del 75% il tempo dedicato all'allenamento rispetto all'allenamento CON. Com'è noto, le linee guida di salute pubblica dettano dai 30 ai 60 minuti di attività fisica di moderata intensità da svolgere quasi tutta la settimana. Questa quantità di attività fisica è considerata ottimale per prevenire malattie croniche e una morte prematura. Eppure pare che la maggior parte degli adulti non riesca a soddisfare il quorum di ore settimanali da dedicare a se stessi. L'allenamento IT, breve e intenso, risponde dunque all'appello di chi lamenta mancanza di tempo. Motivazione? I risultati di alcuni studi assocerebbero una maggiore costanza dei praticanti questa forma di allenamento, rispetto ai praticanti CON. Se l'IT induce rapidi miglioramenti della fitness aerobica (e dunque della salute) nei soggetti sedentari o moderatamente allenati, è sempre consigliabile alternare sedute IT a sedute CON per evitare sovrallenamento e monotonia. Sia l'IT che il CON rispondono, infatti,
all'esigenza di migliorare lo stato di fitness e la performance
aerobica delle
persone. IT e dimagrimento Fermo restando che qualsiasi tipo di attività fisica, aerobica o muscolare, contribuisce al dimagrimento, resta un dubbio: chi vuole risultati attraverso l'attività aerobica, meglio IT o CON? Cosa contribuisce in modo maggiore a perdere quel grasso viscerale considerato il più pericoloso in assoluto per la salute e per le prospettive di vita? Passati
in
rassegna gli studi a riguardo tra il 1966 e il 2006, l’International Journal of
Obesity (2007, studio su 582 obesi senza disturbi
metabolici) ha
concluso che fare una progressione di allenamento aerobico che arrivi a
10
MET/h/w (equivalente metabolico/ore/settimana) in soggetti obesi sani e
senza
disturbi metabolici correlati è efficace per perdere il
grasso viscerale. C’è,
dunque, una relazione dose-risposta
tra esercizio aerobico e grasso viscerale. Un'altro studio pubblicato su Aug. 25 issue of the American Journal of Physiology, ha messo in relazione 196 soggetti adulti tra i 18 e i 70 anni, tutti sovrappeso e sedentari e divisi in tre gruppi. Un gruppo correva (12 miglia a settimana, circa 20 km, all'80% della massima frequenza cardiaca), un gruppo faceva solo pesi (serie da 8-12 ripetizioni 3 volte a settimana) e un gruppo faceva un lavoro misto (corsa + pesi). Al termine dell'esperimento si è misurato il grasso viscerale: chi ha perso in maniera significativa il grasso viscerale? I gruppi che facevano solo corsa o pesi + corsa. Di poco conto i risultati sul grasso viscerale per chi faceva solo pesi. L’allenamento lungo e
lento incide molto
poco sulla perdita di grasso viscerale Meglio
un
allenamento aerobico in progressione legato al miglioramento del
sistema
cardiovascolare (IT) che sedute lunghe ed estenuanti (CON) Aggiungere
al
lavoro aerobico degli allenamenti con i pesi aiuta a perdere grasso
viscerale Fare
solo
pesi non aiuta a ridurre il grasso viscerale, ma solo quello
sottocutaneo CONCLUSIONI Cerchiamo di riassumere per punti i motivi che dovrebbero motivarci a proteggere la salute e a promuovere la longevità attraverso l'attività fisica e la sua giusta dose: · Muoversi, anche ad intensità molto blande, è sempre meglio di niente · Però muoversi con impegno tale da migliorare il VO2 max riduce i rischi di natura cardiovascolare in maniera inversamente proporzionale (più alto il VO2 max, più basso il rischio di malattie al cuore) · Le aspettative di vita aumentano con l'aumentare dell'intensità dell'attività fisica (effetto dose-risposta). C'è un'inversione di tendenza solo quando lo sport diventa strenuo · Il VO2 max migliora solo se l'impegno è significativo (VO2 max a partire dal 60%, fatte salve le differenze soggettive) · Obiettivo salute: aumentare l'efficienza fisica (il VO2 max, appunto) e non solo bruciare calorie. La salute non si compra un tanto al chilo · Tuttavia, il solo fatto di aumentare la spesa calorica è già un vantaggio per la salute · Gli esercizi vigorosi sono meglio di quelli ad intensità moderata perché migliorano il VO2 max, riducono la pressione sanguigna a riposo e la sensibilità insulinica (migliore gestione del glucosio ematico) · Una persona media fisicamente poco efficiente ha bisogno, secondo le linee guida internazionali di salute pubblica, di almeno 30 minuti di attività fisica moderata per non meno di 5 giorni a settimana. I più allenati, per migliorare l'efficienza cardiovascolare e ridurre ulteriormente i rischi per la salute, devono allenarsi più duramente · La sedentarietà è associata con un significativo aumento del rischio di obesità, indipendentemente dai livelli di esercizio fisico. ·
Sia l'attività
aerobica che i pesi migliorano i
parametri della salute ed aiutano a dimagrire. Tuttavia solo
il lavoro
intervallato e intenso aiuta a smaltire il pericoloso grasso viscerale · Nel panorama del sovrappeso il grasso viscerale* è quello che dà più problemi di salute · Sia l'attività aerobica di lunga durata che quella breve, intensa e intervallata migliorano l'efficienza cardiovascolare e, dunque, la salute · Sia l'attività aerobica che di tonificazione (pesi) sono vincenti per migliorare il profilo della salute del cuore, delle ossa e dei muscoli e, sotto supervisione medica, aiutano la riabilitazione di pazienti infartuati e con coronaropatie · Sia l'attività aerobica che di tonificazione (pesi) si sono rivelati di grande aiuto, a fianco della terapia farmacologica, nel trattamento del diabete di tipo 2 · L'attività aerobica si è rivelata preziosa, a fianco della terapia farmacologica, nel trattamento dell'ipertensione · La migliore strategia di allenamento aerobico per migliorare la resistenza, promuovere la salute e dimagrire è una sapiente combinazione di sedute ad andatura costante (CON) e intervallate (IT) · Per i bambini e i ragazzi in età scolare la raccomandazione generale è quella di fare almeno un'ora di attività fisica di moderata intensità al giorno *Grasso viscerale: all'altezza del girovita, distribuito tra gli organi interni BIBLIOGRAFIA
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