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GENI E AMBIENTE: CHI VINCE NELLA
PERFORMANCE? Ne parliamo con Giacomo Moro Mauretto, biologo evoluzionista e divulgatore scientifico. Lo trovate sotto l’insegna instagrammica entropyforlife o presso Youtube, targato Entropy for Life Ciao Giacomo, Quando si parla di sport e performance si assiste al proliferare di personaggi – mental coach, life coach, nutrizionisti, personal trainer - che con alati endecasillabi sponsorizzano un metodo di allenamento, una dieta, un integratore in grado di traghettare tutti verso l’isola del campione
Il sospetto è che si spargano granelli di illusione attribuendo all’ambiente il merito del risultato sportivo. Fuori dalle logiche mercantili, vorremmo capire se l’ambiente è davvero un asso pigliatutto nei medaglieri olimpici e la genetica è marginale con un ruolo ancillare… D.: Partiamo capendo cosa significa “ambiente” nella scienza e in particolare nello sport… R.: Nella scienza l’ambiente ha un significato polissemico perché racchiude una lunga serie di variabili: come e dove viene cresciuto un individuo, cosa mangia, i suoi rapporti sociali e familiari, quanto si allena, quanto si riposa… Siamo portati a credere che la spiegazione principale del successo di un grande sportivo sia quasi esclusivamente asservita al suo impegno negli allenamenti. In realtà l’aspetto ambientale è stato sovrastimato, così come l’aspetto genetico è stato molto banalizzato, riconducendo l’eccellenza di una capacità condizionale (forza, velocità, resisitenza) a un solo gene. Nei fatti, per tratti complessi come le qualità atletiche scendono in campo tutta una serie di geni-giocatori (da decine fino a centinaia) che collaborano e si influenzano reciprocamente per segnare il gol della performance. Tenete presente che dal 1998 al 2015 sono state scoperte 155 varianti genetiche associate a maggiori prestazioni sportive. Di queste 93 sono relative alla resistenza e 62 relative alla potenza e forza. Solo per rari tratti si parla di un solo gene come avviene per il colore degli occhi o dei capelli. Nonostante la complessità del caso è possibile ricostruire quanto la somma di tutti i geni possa contribuire a spiegare la differenza media tra le persone D.:Facciamo un esempio… R.: Banalmente, per l’altezza il contributo dei geni è dell’80%. Il restante 20% compete a fattori ambientali. Analisi approfondite sono poi riuscite ad attribuire un peso specifico al contributo di un singolo gene nel complesso groviglio dei geni concorrenti allo sviluppo di caratteristiche atletiche sopra la media. L’allenamento – fattore ambientale per eccellenza - è poi un valore aggiunto al contributo della genetica D.: La genetica recita un ruolo anche sulle caratteristiche cognitive? R: Certamente. Sicuramente è fondamentale essere ligi ad allenarsi, ma una maggiore capacità di essere disciplinati può avere una componente genetica. Diventare atleti d’élite vuol dire avere dunque tutto al posto giusto: avere dei geni ben sopra la media e allenarsi ben sopra la media. Anche perché a certi livelli l’ambiente tende a livellarsi: tutti si allenano intensamente, la dieta e l’allenamento sono ottimizzati per le conoscenze di quel periodo…ecco che a questo punto la componente genetica fa davvero la differenza
D.: Entriamo nel vivo del peso specifico della genetica nello sport rispetto all’ambiente
R: L’ereditabilità della VO2 max, che sarebbe la massima quantità di ossigeno che il corpo riesce a consumare durante l'esercizio fisico, è stata stimata al 72%. Sale al 99% quella della massima potenza anaerobica, cioè la massima potenza esercitabile durante un'attività di breve durata e alta intensità (sollevamento pesi, sprint in varie discipline sportive…). Tra il 66% e 92% per l'area trasversale del muscolo e le dimensioni corporee. Tra il 93% e il 100% per la distribuzione delle fibre lente o veloci. Tra il 50% e il 73% per la velocità massima. L'ereditabilità non si limita solo agli aspetti muscolari, ma include anche il comportamento, la coordinazione e altre funzioni neurocognitive: conta dal 70 all' 85% per la coordinazione neuromuscolare e nel 68% per il controllo e l'apprendimento motorio e discorsi simili valgono per altri aspetti neuromotori. Conta anche ai fini del carattere, con un 40-50% per i tratti di personalità e umore e un 38-71% per abilità cognitive specifiche. Dato che gli studi sono stati fatti su individui con materiale genetico identico, cioè i gemelli omozigoti, questo significa che se un tuo gemello corre ben al di sopra della media con un livello medio di allenamento è molto probabile che lo farai anche tu.
D.: Nell’intricato labirinto dei geni che influenzano la performance, ce ne sono alcuni con un ruolo di primo piano?
R: I geni più studiati in relazione alle prestazioni sportive sono due: ACTN3 e ACE. Il primo in particolare influenza il tipo di fibre che
compongono i muscoli. Infatti i muscoli scheletrici sono costituiti da due
tipologie di fibre muscolari: quelle di tipo 1 ovvero quella a contrazione
lenta e quelle di tipo
Quelle a contrazione lenta si contraggono più lentamente ma possono lavorare a lungo senza stancarsi, sono quindi più utili per sport di resistenza come la corsa su lunga distanza. Quelle a contrazione rapida al contrario si contraggono velocemente ma si stancano rapidamente, favoriscono quindi lo sprint e altre attività che richiedono potenza o forza. E questo tipo di vantaggio si riflette anche nelle varianti genetiche.
ACTN3 è, un po’ banalizzato, conosciuto anche come il “gene della velocità” perché codifica, cioè “regala” alle fibre di tipo II la “proteina della velocità”, l’alfa-actinina 3. Anche se evidenze recenti indicano come possa essere implicato anche in altri aspetti, tra cui il recupero dall'esercizio, il rischio di infortuni e l'adattamento all'allenamento. In generale la presenza di questa proteina porta vantaggi in sforzi di breve durata che richiedono quindi forza o ad esempio sprint, ma al contrario una sua presenza minore o una totale assenza porta vantaggi per quanto riguarda gli sforzi che richiedono resistenza muscolare e dovrebbe portare ad un risparmio metabolico. Inoltre la sua assenza si è visto che favorisce anche un aumento della tolleranza al freddo, tramite un meccanismo che è particolarmente efficiente dal punto di vista energetico ACTN3 può offrire tre scenari: essere attivo in entrambe le sue copie (sprinter molto veloce); essere attivo solo su una copia (sprinter veloce) e non essere attivo D.: Chi detiene il record della versione più efficiente di ACTN3? Cioè chi ha più speranza di diventare uno sprinter d’eccellenza?
R: Questa variante “fast”, chiamata R577X, è presente nell’83% degli abitanti del Kenia e Nigeria, nel 75% dei giamaicani (strano, eh?) e se si prende l’intera popolazione Africana ha una diffusione del 73%. Contro un 36% degli Europei e a scendere verso l’Asia (22%). Viceversa nel 19% degli Europei alloggia la variante che dà resistenza, mentre parliamo del 26% circa nella popolazione asiatica D.: Dunque i velocisti olimpici dovrebbero avere tatuate nel DNA queste varianti…
R: Esatto. Tutti i velocisti che hanno fatto un test genetico sono portatori di almeno una copia della variante “giusta” del gene. Ma la maggior parte si porta in dote entrambe le varianti fast del gene. D’altra parte però la variante che porta alla totale assenza di questa proteina è più diffusa tra gli atleti di resistenza, ad esempio tra le atlete di resistenza è del 29%
D.: Altre geni con varianti di capitale importanza nello sport…?
R: Abbiamo la variante del gene NFIA-AS2 che migliora la produzione di globuli rossi (più resistenza), la variante di RBFOX1 che influenza lo sviluppo del cuore, dei muscoli e tessuti nervosi, oppure quella di TSHR che influenza il metabolismo e il modo di contrarsi del muscolo scheletrico. Inoltre, TSHR contribuisce alla formazione di nuovi vasi sanguigni. Riguardo le varianti relative alla potenza/forza, queste si trovano ad esempio in geni coinvolti nella regolazione della composizione delle fibre muscolari e nel metabolismo dei carboidrati/lipidi (PPARGC1B), nella crescita e nello sviluppo (NRG1, ZNF423), nell'eccitabilità neuronale (CLSTN2) e nella crescita cellulare (FOCAD).
D.: Dagli sport individuali a uno sport di squadra come IL CALCIO. Cosa si può dire sulla presenza delle varianti di questo gene? R: Sembra esserci un certo vantaggio per chi porta entrambi gli alleli (omozigoti) con le varianti a favore della velocità, seppur non si tratti di una differenza schiacciante: in ogni caso nelle analisi genetiche emerge che gli omozigoti per la variante “veloce” sono quasi il doppio rispetto alla popolazione di riferimento. Qualcosa di simile si può dire per un altro gene, MCT1, che aiuta il riassorbimento del lattato. Dovrebbe contribuire di nuovo per migliorare le performance di scatto, e infatti è circa il doppio più presente negli attaccanti rispetto alla popolazione generale. Con questa variante si recupera prima tra uno scatto e l’altro. Un vantaggio di pregio per un calciatore D.: Qual è il peso dell’ambiente nel calcio e negli sport di squadra?
D.: Tornando al ruolo della genetica, il calcio può beneficiare dei tratti cognitivo-psicologici ereditabili?
R: Più che negli sport individuali, probabilmente. Sappiamo che in generale i tratti cognitivo-psicologici sono ereditabili, con un grado di ereditarietà che varia da moderato a elevato. Per esempio negli atleti professionisti potrebbero avere più successo dei giocatori in grado di gestire meglio lo stress. Non c’è ancora molta ricerca su questo, ma sembrano esserci degli studi, che però sono ancora preliminari, ma che mostrano che una variante di un trasportatore della serotonina sia molto più presente nei giocatori professionisti. Questo per esempio emerge in uno studio Italiano su giocatori pugliesi di calcio, basket e hokey D.: A questo punto si potrebbe parlare di un nuovo, desolante, orizzonte nel campo della frode sportiva: il DOPING GENETICO
R: Sì, data la grande importanza dei geni mi sembra inevitabile che in futuro il tema del doping genetico, cioè la possibilità di iniettare sequenze per avere alcune varianti genetiche o per aumentare l’espressione di quelle che si hanno, possa diventare una grossa questione nei decenni a venire D.: Se vogliamo annodare i fili lasciati in sospeso nel dibattito popolare tra geni e ambiente adesso abbiamo una bussola… R: Certo, anche se per onore di cronaca, bisogna dire che il limite di questi studi è che l’80% di essi non è stato replicato in campioni indipendenti (dati 2016). Comunque l’affresco geni-ambiente è straordinariamente complesso e per motivi culturali tendiamo a pensare che la componente ambientale sia quella determinante: un po’ perché ci piace pensarlo, un po’ perché è l’unica sui cui possiamo agire individualmente. Eppure le ricerche sembrano andare in un’altra direzione: per spiegare il successo nello sport, almeno per gli sport individuali, la componente genetica è fondamentale. Orazio: Grazie, Giacomo. Sei stato chiarissimo come sempre e ci hai fatto capire perché l’etichetta del campione sia innanzitutto appiccicata sui geni. Hai smontato l’idea dell’egemonia dell’ambiente, aspetto sovrastimato anche per malizie commerciali come la vendita di diete, integratori, metodi di allenamento, consulenze di mental, life, wellness coach… Giacomo: Grazie a te. Buon lavoro e a presto FONTI
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determined by genetics? [6] ACTN3: More than Just a Gene for
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